20 Dic Congresso Cgil Lucca – Relazione del Segretario Generale Rossano Rossi
Relazione introduttiva a cura di Rossano Rossi
Il congresso e la Cgil di Lucca
Questo è l’ottavo Congresso della Camera di Lucca, si inserisce nel percorso del 19° Congresso Nazionale della CGIL che si concluderà a Rimini a Marzo.
I congressi sono sempre momenti importanti, specialmente nelle grandi organizzazioni, e la CGIL con i suoi 5 milioni e mezzo di iscritti lo è sicuramente. Sono momenti di bilancio su quanto fatto negli anni precedenti e di discussione democratica sui prossimi indirizzi e le prossime scelte, sulla linea politica si sarebbe detto giustamente una volta.
Il Congresso della CGIL, proprio per la grandezza della nostra organizzazione e per il ruolo ed il contributo che vogliamo dare alla crescita ed allo sviluppo del nostro paese, non è rivolto solamente ai nostri iscritti o a lavoratori e pensionati, ma guarda all’esterno, al mondo che ci circonda, alle altre organizzazioni, alla politica ed a chi governa. Vogliamo stare in tutte le discussioni che determineranno le prossime scelte per il nostro paese.
Durante il percorso congressuale in Provincia di Lucca abbiamo effettuato quasi 400 assemblee, ci siamo misurati con proposte e documenti diversi, e soprattutto ascoltando e discutendo con i lavoratori ed i pensionati. Lo abbiamo fatto confrontandoci su due documenti perché il pluralismo può essere una ricchezza, e lo abbiamo fatto secondo la modalità antica di andare a parlare direttamente con le persone attraverso le assemblee nei nostri luoghi, nei luoghi del lavoro e nelle leghe.
Se vuoi conoscere i problemi della gente devi starci in mezzo, vivere con loro, sapere quali sono i problemi che assillano le famiglie, le condizioni di lavoro nelle fabbriche, i problemi della sanità, della scuola, dei giovani e degli anziani. Noi per la verità proviamo a farlo tutti i giorni, nei luoghi di lavoro e nelle nostre sedi.
Proviamo ad aiutare le persone, in particolare le più deboli. Ho detto proviamo perché vorremmo fare di più, ma comunque tanta gente sa del nostro lavoro e ce lo riconosce, se è vero, come è vero, che la nostra Camera Del Lavoro negli ultimi anni aumenta costantemente gli iscritti e quando chiamiamo le persone alle nostre manifestazioni abbiamo sempre i pullman pieni.
La riuscita dello sciopero del 16 Dicembre, con una adesione media intorno al 70% e punte in alcuni luoghi di lavoro del 100%, e della Manifestazione, ne sono una ulteriore riprova. Nonostante il maltempo, infatti, lavoratori e delegati non hanno rinunciato a venire in piazza, portando tante persone a protestare contro una finanziaria che, per l’ennesima volta, distoglie lo sguardo dai problemi reali del paese, andando a trovare capri espiatori per giustificare i problemi del Paese, mentre lo stato sociale continua ad essere fatto a pezzi sotto i nostri occhi un piccolo pezzetto alla volta.
La pace
Il nostro Congresso cade in una fase straordinaria, ma è una straordinarietà che paradossalmente dura da troppo tempo: crisi economica, pandemia, inflazione, guerra, questione ambientale ed energetica, scelte politiche che oserei definire ostili prima che sbagliate, sono una tragica catena di eventi che hanno travolto e messo in discussione tutto, conquiste e certezze che parevano scontate non ci sono più!
Ma è proprio in situazioni maledettamente difficili e complicate che dobbiamo esserci! Il momento delle scelte è adesso, e ha bisogno di una larga condivisione di idee e partecipazione del mondo del lavoro e di tutta la società civile, per cambiare lo stato delle cose, modificando un sistema di produzione insostenibile, riformando mondo del lavoro e fisco in modo che siano davvero equi e che si possano iniziare a sanare le disuguaglianze sociali nate negli anni
Sicuramente la pace è il primo punto da cui partire, perché La CGIL è contro la guerra senza se e senza ma! Come lo erano Berlinguer e Gino Strada, come lo è Papa Francesco! Nel cuore dell’Europa, ancora una volta, invece si è uccisa la Pace. La folle guerra va fermata! Prima di tutto la Pace, la libertà e l’autodeterminazione dei popoli.
La CGIL si è impegnata da subito contro l’invasione russa, a sostegno degli ucraini, della democrazia e del diritto all’autodeterminazione attraverso aiuti umanitari e progetti di accoglienza. Ma anche per chiedere il cessate il fuoco e costruire la pace attraverso il negoziato.
La guerra non si spiega con le semplificazioni, bisogna capire bene le situazioni. La banalizzazione del tutto bianco o tutto nero non aiuterà mai le soluzioni.
Questa aggressione non avviene come un fulmine a ciel sereno ma, come dice il nostro segretario generale Maurizio Landini: “fa parte di una strategia precisa che è figlia di un crescendo di logiche populiste, sovraniste e nazionaliste degli ultimi anni”.
La priorità è far tacere le armi, far vivere e imporre la politica e il negoziato, inviare aiuti alimentari e sanitari, aprire corridoi umanitari ai profughi, esprimere vicinanza e solidarietà al popolo sotto bombardamento, applicare pesanti sanzioni mirate a colpire le oligarchie e gli affari e non la popolazione.
È sbagliato e incomprensibile che l’Europa, e soprattutto l’Italia, che nella sua Costituzione ‘ripudia la guerra’, abbiano deciso di inviare armi e sostegno militare all’Ucraina. La guerra non si ferma né con la guerra né con l’invio di armi, ma dando vita a una nuova conferenza internazionale di pace per intraprendere la strada del disarmo, della coesistenza e di un nuovo multilateralismo.
Per la nostra posizione, come Cgil, siamo stati attaccati, criticati, dichiarati filoputiniani! Ebbene io mi stupisco che qualcuno si stupisca della posizione della CGIL!
La guerra è sempre orrore e devastazione. L’opposizione alla guerra è uno degli elementi costitutivi e fondativi del movimento operaio. È il movimento operaio a predicare la necessità dell’opposizione di massa alla guerra, a inventare la forma di lotta non violenta per eccellenza come lo sciopero, o altre modalità non violente di iniziativa come il boicottaggio, la valorizzazione della dialettica degli argomenti, la comunicazione, le manifestazioni, i comizi, le petizioni. Scelta compiuta quando la violenza delle classi dominanti si scatenava contro di esso attraverso il monopolio della forza esercitato dallo Stato.
La guerra fu subito considerata il massimo male per le classi lavoratrici perché portava i giovani al macello, peggiorava le condizioni di vita, cancellava diritti e libertà, occultava le istanze per l’emancipazione delle classi lavoratrici. Da ciò l’impegno e la lotta contro la guerra e i guerrafondai.
Qualcuno ha accusato il nostro pacifismo contrapponendolo alla resistenza partigiana, ed allora a costoro voglio dire chiariamo la differenza. La guerra partigiana ebbe un triplice aspetto. Di liberazione nazionale contro un invasore straniero. Di conflitto civile tra antifascismo e nazifascismo. E di lotta di classe tra le classi dominanti dell’anteguerra e classi e ceti antagonisti in armi.
Chi vuole artificiosamente dimenticare o separare questi aspetti che sono intrecciati (per scegliere solo quello più conveniente), non solo crea un problema storiografico ma apre una vecchia piaga civile e di classe mai completamente guarita.
Il movimento operaio è per questo stato contro le guerre, disponibile per le Rivoluzioni, a favore delle Resistenze ed estremamente cauto per le restanti fattispecie, fatta salva la vicinanza alle classi popolari di entrambi i paesi in lotta. Perché anche questa guerra, per dirla con le parole di Gino Strada: “piace a chi ha interessi economici, che se ne sta ben distante dalle guerre… Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e dai potenti che poi ci mandano a morire i figli dei poveri”.
Oggi le conseguenze drammatiche sul popolo ucraino, ma lasciatemi dire anche sulle decine di migliaia di militari russi, rischiano di espandersi ulteriormente se non si lavora con determinazione per la pace. Gli effetti anche oltre i confini del continente europeo sono già evidenti, dalla crisi alimentare a causa dei blocchi all’esportazione del grano alla crisi energetica, fino alla crescita dell’instabilità in vaste aree del mondo.
Ma la tragedia più drammatica che si staglia all’orizzonte è un’eventuale escalation nucleare del conflitto, scenario in cui non ci sarà salvezza per nessuno di noi. Questo dovrebbe essere chiaro a tutti, invece tutti i giorni si scherza con il fuoco.
Ecco perché l’Europa, ed in essa l’Italia, può e deve svolgere un’azione diplomatica attiva per una pace duratura e proporsi come fondamentale elemento di garanzia contro la crescita di logiche nazionaliste xenofobe e discriminatorie.
Il nostro impegno è affermare in Europa una cultura di garanzie universali dei diritti umani e di accoglienza verso tutti coloro che sono vittime e profughi di tutte le guerre. Questo è stato il senso della Manifestazione per la Pace organizzata unitariamente a Lucca e della grande Manifestazione per la Pace fatta il 5 Novembre a Roma. Un grande successo dove in piazza insieme ai sindacati dei lavoratori, c’erano tante Associazioni Laiche e tantissime Associazioni Cattoliche.
Il 19 dicembre e Papa Francesco
È a partire dalla posizione comune contro la guerra, ma anche contro le disuguaglianze e per un lavoro dignitoso che si è costruito un inedito rapporto con Papa Francesco, rapporto in cui si è vissuto un bellissimo momento nell’udienza al Vaticano del 19 DICEMBRE. Ecco, secondo me questo avvenimento non è stato solo positivo, ma epocale. In un momento difficilissimo, due mondi diversi, ma uniti su fronti nobili e importantissimi, rompono i muri che li separano e si uniscono per affrontare queste battaglie comuni.
Purtroppo ho sentito commenti sciocchi e banali su questo evento. Tranquilli nessun ateo diverrà cattolico e resta, su molte cose, tanta distanza. Ma non capire la portata di questa alleanza, di questa vicinanza, denota soltanto scarsa lungimiranza, mentre io personalmente ringrazio il nostro Segretario Maurizio Landini per questo percorso ripeto epocale.
Il contesto internazionale
Il contesto internazionale però non è contraddistinto solo dalla guerra in Ucraina. Come sapete bene purtroppo il mondo è piagato da altri numerosi conflitti. Consiglio la lettura dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti, dove vengono elencati gli attuali scontri in corso nel mondo: secondo fonti Onu e altre Ong, ad oggi sono circa 70 gli Stati coinvolti nelle guerre. Molti di questi conflitti sono, più o meno esplicitamente, causati da soggetti ed interessi politici ed economici molto vicini ai paesi dell’Occidente.
Negli ultimi anni centinaia di migliaia di persone sono morte in Africa, Asia e Medio Oriente, a causa di conflitti a fuoco di diversa natura. Questo il quadro raccontatoci dai dati dell’Armed Conflict Location & Event Data Project.
Evidentemente per chi ci ha governato e ci governa però ci sono guerre e profughi di serie A e guerre e profughi di serie B, secondo una visione del mondo totalmente ipocrita e cinica.
Dal governo Draghi è stata rifinanziata con 33 milioni di euro la sedicente guardia costiera libica, che però non ha impedito nel 2021 la morte di oltre 2000 migranti, donne, uomini, bambini affogati nel Mediterraneo. Nell’era delle tecnologie sofisticate, dei satelliti che riescono perfino a vedere se hai in mano una mela, loro non si vedono, si lasciano morire di stenti migliaia di persone, nell’indifferenza di tutti. Si tessono rapporti e perfino lodi con il dittatore Erdogan, facendo finta di non vedere come tratta i profughi, ed allo stesso modo non vogliamo vedere e sentir parlare dei famigerati lager libici. Ci dobbiamo solo vergognare!
Capitalismo e povertà
La ricchezza totale dei miliardari equivale oggi al 13,9% del Prodotto interno lordo globale, tre volte di più rispetto al 2000. I 10 uomini più ricchi del mondo possiedono più ricchezza del 40% più povero dell’umanità, ovvero 3,1 miliardi di persone. L’ 1% della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza del restante 99%.
Sempre secondo l’OXFAM, nei primi 21 mesi della pandemia i dieci uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i patrimoni da 700 a 1.500 miliardi di dollari. Inoltre nei primi due anni della pandemia sono emersi 573 nuovi miliardari, ovvero uno ogni 30 ore. Ogni secondo hanno guadagnato 15 mila dollari, 1,3 miliardi di dollari ogni giorno. Nello stesso periodo 163 milioni di persone sono cadute in povertà a causa della pandemia.
In Italia i 40 miliardari più ricchi posseggono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% dei più poveri: 18 milioni di persone adulte. Il patrimonio dei primi tre miliardari in Italia è superiore a quello del 10% della popolazione italiana. Un milione di individui e 400 mila famiglie è sprofondato nella povertà assoluta, portando il totale delle persone che vivono in questa situazione di difficoltà ad oltre 5 milioni e mezzo. Più di 10 milioni di persone sono in povertà relativa, 4 milioni sono le persone che pur lavorando sono povere, circa 10 milioni di persone hanno difficoltà a farsi curare adeguatamente e per finire oltre un milione di minori vive nell’indigenza.
In prima linea tra le vittime della crisi del costo della vita ci sono, come sempre, i più vulnerabili: bambini, donne, anziani, persone con disabilità, minoranze e migranti.
Per la sommatoria di queste tragedie adesso nel mondo, a fronte di chi guadagna 15 mila dollari al secondo muore un bambino ogni 5 secondi… pensateci un attimo, ma non troppo perché nel frattempo sarà terribile fare il conto di quanti ne sono morti!
Le multinazionali che sfruttano ed inaridiscono larga parte del pianeta sono le stesse che determinano il controllo e monopolio delle grandi case farmaceutiche, che impediscono di fatto la disponibilità di tanti farmaci elementari che potrebbero salvare migliaia di vite umane, fenomeno che si è ripetuto anche con la Pandemia.
Perché è l’attuale modello di sviluppo, completamente sbagliato, basato sull’ingordigia, l’avidità e l’egoismo di un sistema capitalistico/finanziario senza regole e freni, che negli ultimi anni non ha più subito contrapposizioni. Che pur di continuare nella sua impostazione, non si cura del futuro ambientale del pianeta, non si cura del rischio di una guerra nucleare, non si cura dei sempre più frequenti rischi pandemie, non si cura delle ingiustizie e delle disuguaglianze. È ben consapevole che tutte queste cose possono portare anche alla fine della vita umana sul pianeta, ma è disposto a correre il rischio della fine del mondo pur di non mettere in discussione il rischio della fine del capitalismo.
Ma la CGIL non accetterà mai che sia questa la fine della storia, e lotterà sempre contro tutto ciò. E siccome ho parlato del contesto internazionale, voglio finire positivamente ricordando che non siamo soli, e per questo cito due esempi.
Il primo che mi fa sempre emozionare è quella di una piccola isola che, dopo aver fatto una giusta Rivoluzione, resiste da anni alle angherie ed agli embarghi imposti dagli americani e dagli altri paesi che li applicano. Parlo di Cuba, parlo di un luogo dove, al contrario dei Paesi vicini, non si muore di fame, dove i bambini vanno a scuola, dove la sanità, malgrado le ristrettezze imposte è sempre all’avanguardia, e questo l’hanno dimostrato anche nella costruzione di un loro vaccino contro il Covid. E come non ricordare e ringraziare per sempre la squadra dei medici cubani che vennero ad aiutarci nei momenti più bui della Pandemia.
Su suggerimento della Associazione Italia-Cuba al Ministro Roberto Speranza, partì una richiesta di aiuto. Lo Stato di Cuba, in una manciata di giorni, il 21 marzo del 2020, rispose inviando a Crema 52 operatori sanitari, mentre altri 39 sarebbero arrivati il 13 aprile successivo a Torino, per svolgere la stessa missione umanitaria, riscrivendo la parola solidarietà nelle vite di molti italiani, abbattendo ogni barriera e depositando un lascito civile e pedagogico, per le nostre comunità ed i nostri figli.
I sanitari cubani si sono presentati in una notte di marzo dalle temperature rigidissime, in maniche di camicia, infreddoliti ma dignitosi. Avevano attraversato l’Oceano per condividere un dramma che allora ci appariva quasi senza rimedio, mentre le giornate si consumavano in un clima di morte. Il nostro paese, violando in modo grave codici di civiltà decisivi, come la riconoscenza, la lealtà, la memoria, la solidarietà, si deve solo vergognare di averli “ringraziati” continuando a sostenere l’embargo proposto dagli americani.
La Camera del Lavoro Di Lucca ha un rapporto con l’Associazione di Amicizia Italia-Cuba, che è presente e saluto calorosamente, attraverso la quale collabora e da sostegno al popolo cubano.
L’altro esempio che fa bene al cuore è la vittoria di Lula in Brasile, dopo la pericolosa esperienza del fascista Bolsonaro e l’ingiusto imprigionamento del compagno, avvenuto con la complicità dei poteri forti. In un paese difficile come il Brasile, Lula ex operaio, ex sindacalista, proveniente da famiglia molto povera, ce l’ha fatta a rivincere le elezioni dimostrando che la Classe Operaia può governare se si fa soggetto collettivo.
Le pari opportunità?
Fra gli oppressi, gli sfruttati, gli emarginati del mondo lasciatemi ricordare le donne che combattono per loro diritti, per una parità che viene sempre messa in discussione se non completamente negata. Ed allora penso alle partigiane kurde, penso alle donne dell’Afghanistan, penso alle donne iraniane, e a tutte loro va la mia più totale solidarietà e chiedo anche un applauso.
Ma penso anche che nel 2021 in Italia ci sono state 116 vittime di femminicidio!
Penso ai continui tentativi di mettere in discussione la legge 194, alle difficoltà dei Consultori, a quello che è successo dal punto di vista lavorativo ed occupazionale durante la pandemia, quando sono state soprattutto le donne a perdere il posto di lavoro, e nel dopo pandemia, dove nei mesi successivi il 49,6% dei nuovi contratti di lavoro delle donne è stato a tempo parziale contro il 26,6% degli uomini.
Penso che in Italia ancora persiste, in molti settori e luoghi di lavoro, l’aberrante e scandalosa prassi di far firmare alle donne le proprie dimissioni in caso di gravidanza. Ancora assistiamo ad episodi di sessismo non solo materiale, ma anche e soprattutto psicologico. La formazione professionale è ancora strutturalmente pensata e realizzata, là dove si fa, per i dipendenti maschi, così come purtroppo le misure per la salute e la sicurezza sul lavoro. Infatti, sono sempre di più le donne che, come i colleghi uomini, perdono la vita svolgendo la propria attività lavorativa e professionale. Per non parlare poi dell’arretratezza culturale e civile che ancora oggi riguarda il ruolo, la dignità e direi la funzione sociale ed umana stessa delle donne.
È di qualche giorno fa il titolo, scandaloso e aberrante, di un articolo apparso sul quotidiano Libero che recitava: “Togliamo i libri alle donne e vedrete che torneranno a fare figli!”. Ogni commento sarebbe davvero poca cosa, però questo è il livello, di cui dobbiamo essere consapevoli, con il quale ancora oggi ci si rapporta con la questione di genere e con le giuste rivendicazioni delle donne italiane. Fatto che dimostra che continuiamo ad essere un paese fortemente patriarcale, impostazione che non si cambia soltanto con un Primo Ministro donna.
La CGIL ad ogni livello lo deve denunciare con fermezza, e qui oggi voglio, proprio in considerazione di questo clima e di questi attacchi, ringraziare e sottolineare con stima, condivisione ed affetto il gran lavoro svolto in questi anni da tutte le nostre delegate, funzionarie ed attiviste, citando con riconoscenza specifica l’attività delle compagne del Coordinamento Donne.
La questione ambientale e la transizione ecologica
A martoriare il nostro povero pianeta non ci sono solamente le guerre, ma anche una drammatica questione ambientale. Se noi paragonassimo la terra ad una grande astronave che viaggia nello spazio con tutti i suoi abitanti a bordo, con l’attuale ritmo di consumo di risorse e materie prime, legate a questo modello di sviluppo, dopo poco più di sei mesi finiremmo tutte le provviste necessarie per un anno. E se non moriamo tutti di fame dopo alcuni mesi, è perché altri in altre parti del mondo muoiono continuamente già dal primo mese.
Basti pensare a quello che è successo con i mondiali di calcio nel Qatar. Nello stesso continente dove la stragrande maggioranza delle persone non ha di che nutrirsi adeguatamente, si sono costruiti stadi di calcio con l’aria condizionata, e non voglio parlare adesso di come siano stati costruiti, attraverso che tipo di sfruttamento e a quale prezzo… Non c’è poi così tanta differenza da come venivano costruite le piramidi, ma siamo nel 2022. E a differenza delle piramidi, dopo i mondiali gli stadi saranno abbattuti, il tutto all’insegna dello spreco e dell’inutilità.
La Camera del Lavoro di Lucca rivendica con orgoglio di aver sostenuto da subito le lotte dei ragazzi di FFF ed Earth Strike, per un nuovo modello di sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile. Per questo sosteniamo convintamente la loro Agenda Climatica e le proposte contenute a partire da quelle sui temi principali come trasporti e mobilità, energia, lavoro, edilizia, povertà energetica e acqua.
Insieme con questi ragazzi abbiamo manifestato, organizzato eventi pubblici su questi argomenti, e soprattutto stiamo cercando di portare avanti un dialogo fra di loro ed il mondo del lavoro. Perché la necessaria transizione ecologica deve avvenire, ma non può farlo sulla pelle di chi lavora.
Questo mondo non ci piace perché non ha futuro, non dovrebbe essere difficile da capire!
L’attacco fascista alla sede della Cgil nazionale
Partendo dalla analisi Internazionale ed arrivando fino a quella del nostro paese, emerge anche in Italia un contesto drammatico, segnato da divari e disuguaglianze, che le varie crisi fino alla pandemia hanno sicuramente acuito. Quello che ci si presenta è un periodo segnato da una deriva culturale e valoriale caratterizzate da paure, miserie, populismo e qualunquismo.
In questo periodo buio hanno trovato spazio movimenti estremisti fascisti come quelli che il 9 Ottobre del 2021 hanno portato all’assalto squadrista che ha devastato la nostra sede nazionale. Evento per altro annunciato dal palco di Piazza del popolo nell’indifferenza generale, a partire dalle forze dell’ordine.
Quello è stato un vile attacco al movimento dei lavoratori e alla democrazia. E lo ripeto con convinzione è stato un attacco fascista, perché penso che fascista sia colui che ha una violenta intolleranza verso il dissenso, militante del razzismo e dello schiavismo, avversario dei lavoratori e del sindacato.
Il fascismo può ancora celarsi sotto le spoglie più innocenti o inconsuete, ma «il nostro dovere è smascherarlo e puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme ogni giorno, in ogni parte del mondo».
Tra le caratteristiche di questa multiforme nebulosa nera deve essere oggetto di attenzione la sua posizione nei confronti delle organizzazioni sindacali (smantellate dal regime mussoliniano), proprio alla luce dell’episodio di squadrismo contro la Cgil di aderenti all’associazione Forza Nuova, fedele erede e continuatrice del pensiero e dell’azione del fascismo italiano.
Ma, secondo la giudice, la devastazione e il saccheggio non hanno avuto «matrice fascista» e non hanno cagionato danni all’onore partigiano rappresentato dall’Anpi. Il nostro segretario non ha polemizzato con la magistratura, limitandosi a ribadire la richiesta di scioglimento dell’associazioni che parteciparono a quei fatti, come richiesto ormai da anni da parte dell’Unione Europea nei confronti delle organizzazioni di matrice neofascista.
La pandemia, la sanità, lo stato sociale ed il contesto socio/economico
Sicuramente la cosa che ha drammaticamente caratterizzato di più questo drammatico periodo che ci separa dal Congresso precedente è stata la Pandemia. È stata una vera e propria tragedia mondiale e per il nostro paese, con oltre centomila morti, e non è ancora finita.
La Pandemia ha evidenziato alcune cose e soprattutto alcune scelte politiche errate, dalle quali avremmo dovuto trarre esempio ed insegnamento per il futuro. Cosa che purtroppo non è avvenuta. Infatti dopo un primo momento in cui tutti dicevano: “nulla sarà più come prima”, stiamo di nuovo percorrendo i percorsi sbagliati che avevano determinato quei problemi.
Da un punto di vista più ambientale, la pandemia ha mostrato come la natura non possa continuare ad essere violentata dall’uomo. L’invasività delle attività umane, che continua a raggiungere spazi naturali in precedenza intonsi, ha sicuramente favorito il salto di specie, così come il modello di sviluppo frenetico e basato su esagerati e futili spostamenti di persone e merci, ne ha favorito la diffusione.
Ma non sono queste le cose su cui voglio aprire adesso una discussione. Voglio invece mettere in risalto come invece nel suo momento più buio e duro, quando la maggioranza delle persone erano chiuse in casa, disorientate ed impaurite, la pandemia ha dimostrato l’importanza del lavoro, delle persone in carne ed ossa, perché se anch’esse si fossero fermate avrebbero decretato la fine del nostro Paese.
La Pandemia ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’importanza fondamentale del servizio sanitario pubblico ed universale, perché nel frattempo i privati si erano dissolti come neve al sole.
Ed è in quel momento che un paese di infermieri, dottori, donne dei servizi, fattorini, commesse, agenti delle forze dell’ordine, operai, postini, raider e molti altri lavoratori, benché avessero paura, benché non ci fossero i dispositivi di protezione, benché a casa avessero anche loro famiglie che li aspettavano da cui avevano anche paura di tornare per il rischio contagio, ebbene tutte queste donne e questi uomini, anche rischiando e, troppe volte, rimettendoci la vita, hanno salvato il Paese.
Uomini e donne che fino a ieri erano stati marginalizzati, umiliati e derisi, pagati con salari da fame (andate a dare un’occhiata alle retribuzioni di questi lavoratori), invisibili nel paese che più di tutti in Europa ha deregolamentato il mercato del lavoro e compresso i diritti di chi lavora.
Il loro sacrificio è stato anche il sacrificio dei tanti che sono rimasti a casa senza salario, in abitazioni di pochi metri quadri, con l’angoscia di rivivere ancora quella sensazione di incertezza, di un futuro che si presenta con le sembianze di un passato di ristrettezze, di precarietà, di fame.
Altro che fine del lavoro manuale: negli anni precedenti si era cercato di dimostrare la subalternità del lavoro, la sua fine e la primarietà dell’impresa e della finanza. Invece la pandemia ha come squarciato un velo dietro il quale è emersa la centralità del lavoro e dei lavoratori.
Mi ricordo ancora le riunioni con il Prefetto e Confindustria sui famigerati codici ATECO, necessari per far lavorare le persone in situazioni strettamente necessarie e comprovate, e non sulla base di alcune richieste a volte veramente inaccettabili.
Come organizzazioni sindacali, insieme agli altri soggetti coinvolti, abbiamo dimostrato un grande senso di responsabilità, e sono convinto che i tavoli di confronto istituiti in quei giorni dalla Prefettura siano stati uno dei migliori esempi di come di fronte a grandi difficoltà. Fare rete fra i soggetti interessati si è dimostrata una buona ed utile pratica, e colgo l’occasione per ringraziare il Prefetto Esposito per il suo ruolo ma anche per la sua sensibilità.
La pandemia ha necessariamente cambiato le nostre abitudini, introducendo forme di lavoro a distanza come lo smart working semplificato per molti lavoratori e metodi di confronto digitale come le riunioni in videoconferenza. Non è stato semplice, ma abbiamo apprezzato come queste nuove forme garantiscano la riduzione dell’inquinamento ambientale e delle spese in generale, tanto da averle mantenute seppur non come unica modalità ancora oggi.
Ma ritorniamo alle cose che la pandemia ha evidenziato: centralità del lavoro e della sanità pubblica. Ma anche gravi criticità, perché è bene precisare che, malgrado lo sforzo eroico degli operatori sanitari, anni di tagli allo stato sociale ed alla sanità hanno messo in risalto le carenze che si erano determinate, in primis mancanza di personale e di strumenti!
Allora, forse in preda alle paure del momento, sembrava fosse stato riacquisito il concetto dell’importanza fondamentale del servizio sanitario pubblico, tant’è che sia pur con poche risorse, per un paio di anni si è invertita la tendenza a tagliare sul sistema sanitario. Ci saremmo aspettati di proseguire su quella strada, invece niente. Questa manovra finanziaria riduce di fatto le risorse necessarie per sostenere la sanità, la scuola, il trasporto pubblico.
Ci sono gli investimenti previsti dal PNRR, ma non sono strutturali e riguardano solo le strutture, per cui senza il personale adeguato si rischia di costruire cattedrali nel deserto, che alla fine rischiano di diventare ulteriori regali alla sanità privata o convenzionata.
Lo dico con malinconia, non sarebbe dovuto accadere che gli eroi di allora diventassero oggi numeri da far quadrare per mettere in salvo profitti e bilanci, per prolungare il galleggiamento di un pezzo di sistema produttivo fondato sulla miseria di una crescente fascia di lavoratori e lavoratrici, che così facendo ha condannato il Paese intero ad un futuro di bassa crescita e il sistema sanitario a difficoltà sempre maggiori.
La CGIL da anni sostiene la necessità aumentare il finanziamento del SSN, il rafforzamento dell’assistenza territoriale per sostenere la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) e dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
Non basta annunciarli in Legge di Bilancio: questi devono essere finanziati. Sono diritti sociali fondamentali, per tutte e tutti, ovunque abiti. Non può essere che se abiti in alta Garfagnana hai meno servizi e un’aspettativa di vita più bassa.
Ed occorrerà vigilare sulla approvazione definitiva della legge sulla non autosufficienza, una riforma particolarmente attesa da tutto il paese, considerato il numero sempre più elevato di anziani che vivono in tale condizione (3,5 milioni, in crescita) e i problemi che affliggono tantissime famiglie italiane, per un totale di 10 milioni di persone coinvolte.
La legge chiesta a gran voce da oltre un decennio dai Sindacati dei pensionati Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil, che si sono mobilitati a lungo per spingere la politica a intervenire e dare una risposta di dignità alle persone anziane. Questa risposta, niente affatto scontata, è finalmente arrivata dal governo Draghi, ma ripeto, adesso occorrerà spingere per la sua definizione e non vanificare un risultato che si può considerare storico.
Come CDL abbiamo cercato il confronto sia a livello territoriale con le zone distretto sia a livello di area vasta, e devo ammettere di aver sempre ricevuto disponibilità ed attenzione da parte dei vari interlocutori locali. Abbiamo evidenziato criticità palesi, come i due ospedali in Garfagnana, o come l’annosa questione delle liste di attesa e della assistenza territoriale. Abbiamo rivendicato e fatto proposte ed iniziative, anche molto partecipate. Qualche piccolo risultato l’abbiamo ottenuto per merito della nostra contrattazione. Tra questi segnalo, anche per la sua novità e per l’aver ricevuto un riconoscimento nazionale, il Progetto regionale sulla telemedicina “Connessi in buona compagnia”.
Purtroppo però, le problematiche più grandi stanno sui livelli superiori, regionale e soprattutto nazionale.
A livello regionale dobbiamo dire che il modello sanitario toscano è basato sui grandi ospedali per acuzie, ma anche su una forte risposta sui territori, da dove deve iniziare la presa in carico dei pazienti. È un modello a doppia portata, ma se uno dei due pilastri diventa deficitario il modello toscano non regge più. Non ci possono essere solamente Careggi, Cisanello e Le Scotte, o sia pur in misura minore altri grandi ospedali, bisogna garantire la copertura adeguata in tutto il territorio regionale.
Da questo punto di vista è importante il documento della CGIL Toscana che è stato condiviso con Federconsumatori ed Auser: “Per una nuova e integrata assistenza sanitaria e sociosanitaria territoriale” che trovate nella cartellina.
Ognuna delle tre organizzazioni svolge specifiche attività in coerenza con le proprie finalità statutarie e ha rapporti autonomi con le istituzioni locali e regionali. Ci accomunano valori e obbiettivi che ispirano il nostro agire. Insieme è stato dato un contributo per la crescita della consapevolezza e della partecipazione dei cittadini e della comunità locale a un rilancio e rafforzamento del nostro SSN e regionale, che vogliamo pubblico e ispirato a principi di universalità ed equità.
Resta il fatto improrogabile che il nostro sistema sanitario nazionale, dopo anni di tagli e di scelte sbagliate ha bisogno di maggiori risorse. Risorse che dovevano essere destinate a far fronte alla carenza di personale, superando così l’iniquo vincolo di spesa per il personale sanitario, fissato al 40% di quanto speso nel 2004.
Si rafforza la scelta di mettere in difficoltà il sistema sanitario pubblico universale per andare verso un sistema sanitario privato/bancario/assicurativo, con conseguenze gravi sulle prestazioni date alle persone e la loro presa in cura.
Ma se nella manovra di bilancio si investono solo due miliardi di euro sulla sanità, di cosa stiamo parlando? Ci rendiamo conto che queste risorse serviranno quasi solamente per pagare gli aumenti derivati dai costi energetici? Altro che invertire la tendenza dei tagli!
Allo stesso modo va sostenuto il sistema di istruzione pubblica che ha garantito nel biennio pandemico la tenuta della scuola pubblica, e che ancora attende un pieno riconoscimento del proprio valore sociale attraverso investimenti strutturali e la valorizzazione della professione docente e ATA.
Vi è anche la questione degli edifici scolastici, che versano in condizioni pietose ed in alcuni casi sono al limite della idoneità, ma anche qui non è stato fatto nulla né dal governo attuale né da quelli precedenti. Niente sugli edifici scolastici, come niente è stato fatto contro la dispersione scolastica passata dal 7,5% del 2019 al 9,7% del 2022.
E andrebbe fatta attenzione alla gestione e tutela dei servizi pubblici locali essenziali (rifiuti, energia e acqua) a partire dal rispetto dell’esito del referendum su acqua pubblica, sapendo che lasciare certi beni essenziali sotto il controllo del solo mercato è profondamente sbagliato, esattamente come sta dimostrando la speculazione sul prezzo del gas e del petrolio.
Per questo non abbiamo condiviso le scelte proposte nel disegno di legge “Concorrenza 2022”, che affiderebbe al mercato la gestione dei servizi fondamentali e asset strategici quali i porti, i trasporti, i rifiuti, l’energia e l’acqua. Dovrebbe pensarci anche chi, in Toscana si appassiona alla quotazione in borsa della costituenda nuova Multiutility.
Siamo perfettamente d’accordo con la categoria della Funzione Pubblica, che sostiene la necessità di un piano pluriennale di assunzioni stabili nelle pubbliche amministrazioni di 1,2 milioni di posti di lavoro per coprire sia il turnover fino al 2030, pari a 700 mila uscite per pensionamento entro quella data, esclusi i comparti Istruzione e Ricerca, sia i fabbisogni reali di personale.
Dal rapporto della Funzione Pubblica Cgil emerge che: dal 2000 al 2020 in Italia ci sono stati 200 mila dipendenti pubblici in meno; l’età media del personale in 20 anni è cresciuta di 6 anni e mezzo, e già nel 2020 era di 50 anni; dal 2026 andranno in pensione (anche a Fornero immutata) 300 mila dipendenti, nel 2030 700 mila operanti in tutta la Pubblica amministrazione (esclusa Istruzione e Ricerca); emerge anche che ci sono 110 milioni di euro in meno per la formazione in dieci anni.
Siamo d’accordo con il nostro Segretario Generale Maurizio Landini, quando dice che «Mettere al centro il lavoro pubblico e la sua funzione può essere il motore di un nuovo modello di sviluppo dell’Italia. Un piano straordinario è un’esigenza non solo per i giovani, ma anche per ammodernare il Paese». Concordiamo anche sul fatto che ci vorrebbero risorse, sia per queste scelte che per i salari. Invece nella manovra «non c’è un euro che viene destinato al rinnovo dei contratti pubblici che sono già scaduti, determinando il rischio di un ulteriore impoverimento delle retribuzioni», visto anche l’alto livello di inflazione.
La questione salariale e l’inflazione
La questione salariale è infatti un altro aspetto che interessa il nostro paese: i salari italiani sono fra i più bassi di tutta Europa.
Eurostat ci dice che la paga media oraria lorda nel 2021 in Italia è stata di 15,5 euro, contro la media europea di 16,9 euro, 18,01 euro orari della Francia e 19,66 della Germania. In Europa negli ultimi 30 anni in tutti i paesi i redditi sono aumentati, anche in maniera considerevole. Prendiamo due Paesi come Germania e Francia dove i salari sono aumentati rispettivamente del 33,70% e del 31,10%, oppure Danimarca più 38,70% o Grecia più 30,50%. Ecco l’Italia è l’unico Paese dove i redditi sono diminuiti del meno 2,90%.
Ma cosa è successo 30 anni fa? Forse i più giovani non lo sanno ma 30 anni fu tolta la Scala Mobile. Cosa era la Scala mobile?
Era semplicemente un adeguamento automatico del potere d’acquisto dei salari all’aumento del costo della vita. Ogni due mesi al telegiornale, in base ai costi di un paniere prestabilito, venivano adeguati i salari dei lavoratori. Si disse che questo meccanismo era la causa dell’inflazione, così fu fatto un referendum e fu tolto. Ovviamente la Cgil era contraria, ma così andarono le cose.
Oggi la scala mobile non c’è più, i salari italiani sono i più bassi d’Europa e guarda un po’ è tornata anche l’inflazione! Ed è un’inflazione altissima, alimentata, ancor prima che dalla guerra, dall’effetto della speculazione finanziaria dei mercati iniziata già prima del conflitto in Ucraina.
Le stime preliminari relative all’incremento dei prezzi nel mese di ottobre, rese note dall’Istat, certificano un balzo dell’inflazione su base annua all’11,9% rispetto all’ 8,9% di settembre. Sembra di essere tornati a quarant’anni fa, ai tempi della “Milano da bere”. Solo in quel caso, nel giugno del 1983, abbiamo registrato un aumento (+13%) su base annua superiore a quello attuale.
Ma ciò che è peggio è che il peso maggiore, come sempre, si scarica sul carrello della spesa, sui consumi popolari indispensabili. Complessivamente su base annua aumentano i prezzi dei beni (da +12,5% a + 17,9%), mentre diminuiscono anche se di poco quelli dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (su base annua dal +3,9% al + 3,7%). Quindi il differenziale inflazionistico negativo fra questi ultimi e i prezzi dei beni si è sensibilmente allargato (dal -8,6 di settembre a -14,2 punti percentuali).
Senza abbondare con le cifre, è chiaro che l’inflazione pesa assai di più sui redditi bassi. Per una famiglia composta da due coniugi con due figli la sberla può arrivare a 4.059 euro all’anno, di cui almeno un quarto è dovuto alle spese alimentari, ove spicca il salto micidiale del prezzo delle verdure. Questi aumenti riducono il margine del risparmio, come emerge da una recente indagine Acri-Ipsos, da cui risulta che anche una spesa imprevista di 10mila euro può creare seri problemi a una famiglia, spingendo così eventuali appartenenti ai 10 milioni di persone in povertà relativa verso la povertà assoluta.
Anche l’Istat ci ricorda che le retribuzioni non tengono il passo dell’aumento inflazionistico. Nei primi nove mesi dell’anno il divario tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni contrattuali è pari a 6,6 punti percentuali. Il leggero aumento della retribuzione oraria, pari all’1%, resta quindi comunque al di sotto del livello dell’inflazione. Perciò continua la corsa verso il basso dei salari italiani.
Abbiamo così una sommatoria di salari bassi sui quali va ad insistere un’inflazione che si porta via l’equivalente di più di un mese di stipendio o di pensione. Consideriamo poi che per effetto della crisi energetica, con l’aumento del prezzo di gas e di petrolio, se nei prossimi mesi non ci sarà una auspicabile, ma poco prevedibile, inversione di tendenza, tante aziende rischieranno di chiudere e di mettere i propri dipendenti in cassa integrazione, che, quando va bene, copre solamente il 75% dei già famigerati salari bassi.
Ebbene la combinazione di tutti questi fattori sta alimentando il cosiddetto lavoro povero, quello per cui pur lavorando non ce la fai ad arrivare alla fine del mese, e rischia nei prossimi giorni di creare una situazione sociale drammatica ed esplosiva.
La riduzione d’orario a parità di salario
Come CGIL abbiamo diverse proposte per affrontare sia la questione salariale sia quella occupazionale: la più importante è la riduzione di orario a parità di salario.
Secondo stime Ocse l’Italia è in testa, dopo Grecia e Estonia, nella classifica delle settimane lunghe con 33 ore, 3 in più della media e 7 più della Germania.
Siamo terzi, dopo Grecia e Spagna anche nella classifica della disoccupazione mentre l’Istat annuncia il record storico di occupazione: 23 milioni e mezzo pari al 59,4% della popolazione attiva. Ma in Italia il lavoro è povero, poco produttivo e malpagato, e una donna su due è bloccata nel part time involontario o fittizio.
Gli occupati recuperati sono gli stessi del periodo precrisi, ma le ore sono almeno il 15% in meno. Calano gli autonomi e sale la quota dei lavoratori a termine. E se dieci anni fa i part time erano 3,3 milioni ora sono una “metropoli” di 4,5 milioni di abitanti (dati Inps).
La pressione di quello che Marx definì l’esercito industriale di riserva, i disoccupati, è cruciale in un sistema che punta molto sulla concorrenza tra lavoratori e sulle guerre fra i poveri, perché depotenzia la contrattazione.
La riduzione dell’orario a parità di salario non è una riedizione dello storico slogan lavorare meno lavorare tutti. Non perché non sia giusto, ma perché studi recenti hanno rilevato anche altri aspetti interessanti. Lavorare meno, secondo uno studio del 2006, prodotto dagli studiosi Rosnick e Weisbrot, dimostra l’esistenza di uno stretto legame fra orari di lavoro più bassi e migliori risultati economici, ed il parametro preso a riferimento è il PIL prodotto per ora di lavoro. In generale tutti i paesi in cui la media delle ore lavorate per anno è inferiore a quella media europea, hanno i risultati migliori nel rapporto fra ora lavorata e PIL. Abbiamo così al primo posto di questa speciale classifica la Norvegia con 1336 ore lavorate pro capite in media durante l’anno. Seconda la Francia con 1429 ore, mentre l’Italia, con una media di 1609 ore, si colloca in Europa solo al 12°posto.
Quindi lavorare meno, vivere meglio, produrre di più e creare occupazione sono cose che possono stare insieme, specialmente se scegliamo una via alta dello sviluppo, che ad esempio contempli una formazione continua dei lavoratori.
La riduzione dell’orario a parità di salario non è guerra verso l’impresa, ma un tema riunificante, per riconquistare tempi di vita, una diversa organizzazione della società, una redistribuzione più egualitaria degli straordinari aumenti di produttività garantiti dallo sviluppo scientifico e tecnologico garantito dall’informatizzazione integrale dei processi produttivi.
Il salario minimo
Tra le proposte della CGIL vi è anche il salario minimo. Negli anni ‘70 si diffuse, anche a sinistra, l’idea che le retribuzioni avrebbero dovuto essere variabili dipendenti dai profitti. Pertanto chiedere adeguati aumenti salariali avrebbe nuociuto agli stessi lavoratori. Ma è veramente così?
Il salario non può discostarsi dall’andamento della produttività, o diversamente riformulato: il salario è una variabile dipendente del profitto dell’impresa (rispetto al perimetro ristretto del residuo dei lavoratori e lavoratrici alle dirette e giuridicamente sancite dipendenze). Si passa così dalla centralità dell’autonomia operaia alla centralità dell’impresa, ed alle ferree e presunte naturali leggi del mercato come fondamento dell’essere sociale.
Ora noi siamo pienamente convinti della importanza delle imprese della loro crescita e della loro salute, ma il passaggio ad una completa subalternità del lavoratore e del salario ai loro profitti non può andare bene, basti guardare dove ci ha portato oggi.
Ci ha portato ad un Paese di circa 60 milioni di abitanti dove lavorano poco più di 23 milioni di persone, di cui quasi 18 milioni di lavoratori dipendenti, con il 14% della forza lavoro in condizioni di povertà lavorativa e con il 30% dei giovani che guadagna meno di 800 euro al mese.
Mai come oggi risulta politicamente e sindacalmente necessario il ritorno a pratiche radicali ed inclusive, che vedano rimettere al centro le richieste di un salario dignitoso, così come previsto dalla Costituzione.
Le condizioni elementari per sostenere ed incrementare gli stipendi dovrebbero essere: un welfare generoso, prestazioni sociali che proteggono contro il rischio di un lavoro sottopagato, accompagnati da un salario minimo sotto il quale nessun lavoratore deve scendere, un basso tasso di disoccupazione, il rispetto ed il rinnovo dei contratti nazionali.
Un salario minimo contro il lavoro povero e sulla base della Direttiva Europea che mira a garantire retribuzioni dignitose e rafforzare la contrattazione collettiva. È giusto che anche in Italia venga introdotto un salario minimo, costruito prendendo a riferimento il trattamento economico complessivo definito dai contratti nazionali firmati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, e per questo consideriamo necessario che venga previsto un provvedimento legislativo.
La legge sulla rappresentanza e il contratto nazionale
Qui è doveroso aprire una parentesi, perché come CGIL è da anni che chiediamo una legge sulla rappresentanza, un provvedimento legislativo di sostegno all’esercizio della contrattazione collettiva, che assegni validità generale ai contenuti dei Contratti Nazionali, certifichi la rappresentanza delle parti che li stipulano, garantisca il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori ad eleggere le RSU in tutti i luoghi di lavoro e sancisca il loro diritto a validare i contratti collettivi che li riguardano tramite il voto.
Noi non vogliamo l’esclusiva sulla contrattazione, ma ognuno deve pesare per il numero reale di iscritti che conta. Altrimenti succede che ci ritroviamo una miriade di contratti depositati al CNEL (più di 800) firmati da sindacati che non rappresentano nessuno, o, peggio ancora, filo padronali.
È una esigenza del mondo del lavoro e del nostro sistema economico rafforzare il ruolo del Contratto Nazionale nella sua funzione di tutela e aumento reale del potere d’acquisto dei salari, e pertanto di procedere con questo obiettivo nei loro rinnovi, che purtroppo stentano, in quanto ad oggi non sono stati rinnovati contratti che riguardano circa la metà dei lavoratori.
In questo contesto è giusto vincolare i sostegni pubblici al sistema delle imprese, alla tutela dell’occupazione, alle assunzioni stabili, al rispetto normativo e salariale dei contratti nazionali di lavoro e del loro rinnovo.
Inoltre in una fase di emergenza salariale come questa abbiamo chiesto di allargare la decontribuzione fino a € 35.000, già conquistata con il precedente Governo, e di portarla dal 2% al 5% (perché c’è almeno una mensilità da recuperare), nonché di introdurre un meccanismo automatico di indicizzazione delle detrazioni rapportato all’inflazione (così detto recupero del drenaggio fiscale), di detassare gli aumenti previsti con i contratti nazionali. Anche se su quest’ultimo aspetto, personalmente, mantengo qualche riserva, in quanto non vorrei che alla fine ci fossero ricadute sullo stato sociale.
No alla precarietà, no al lavoro purché sia…
Il problema che attanaglia oggi il mondo del lavoro non è solo quello salariale, ma anche quello di qualità, dignità e sicurezza del lavoro. Bisogna dire basta alla dilagante precarietà, al part time involontario, al finto lavoro autonomo, al lavoro povero e sommerso, per puntare su un lavoro con pieni diritti e qualità.
Due milioni di lavoratori si sono dimessi nel 2021, e non c’è solo il fenomeno, ahinoi, più famoso dei medici, ma è un problema generale. Bisogna cancellare le forme più precarie di lavoro riducendo così le tipologie contrattuali, per affermare la centralità del tempo indeterminato come forma comune di rapporto di lavoro.
Nel report del terzo trimestre elaborato dall’IRPET emerge che anche nella nostra Provincia oltre l’88% delle nuove assunzioni sono di tipo precario.
È necessario garantire la dignità del lavoro e dei lavoratori, rimovendo tutte quelle leggi che sono andate nella direzione opposta non producendo per contro nessun beneficio, come il Jobs Act, che andrebbe semplicemente abolito.
Dobbiamo intervenire sul tempo determinato affinché, legato a specifiche causali, risponda solo ad effettive e limitate necessità, e sia propedeutico a trasformazioni a tempo indeterminato. Intervenire per regolare il lavoro autonomo e parasubordinato, allargando diritti e tutele. Introdurre un unico contratto di inserimento al lavoro, con un percorso di formazione e con garanzie di stabilità. Contrastare di nuovo, cosi come facemmo la volta precedente, l’utilizzo dei voucher.
La piaga della precarietà che riguarda in particolare i giovani, le donne ed il Mezzogiorno viene addirittura rafforzata, in settori particolarmente fragili, attraverso la reintroduzione dei voucher, che rappresentano una vera e propria mercificazione del lavoro senza diritti e senza tutele, oltre a riproporre un modello che deprime l’economia, e possono essere un pericoloso grimaldello verso il lavoro nero.
La sicurezza sul lavoro
La precarietà, la miseria diventano poi due condizioni micidiali per la mancanza di sicurezza sul lavoro, e con esse di fatto si viene portati ad accettare il lavoro pur ché sia.
Così che si perpetua di anno in anno la strage delle morti sul lavoro, morti non bianche ma rosse di vergogna, causate da cupidigia, avidità, irresponsabilità di alcuni imprenditori che si sentono proprietari della vita e della dignità delle persone. Tutti i santi giorni tre lavoratori non tornano a casa perché muoiono lavorando. Non è più nemmeno sopportabile la retorica e l’ipocrisia con cui tutti piangono a tragedia avvenuta, che sono proporzionali all’inerzia con cui si affronta questo problema.
Bisogna aumentare i controlli ed eliminare le cause degli infortuni e delle morti sul lavoro: serve un netto contrasto alla precarietà, un intervento deciso sulla catena degli appalti e dei subappalti rendendo effettive e esigibili le clausole sociali, il rispetto dei contratti nazionali, e la pensione anticipata per chi fa lavori usuranti e gravosi.
Ma la manovra di bilancio va in direzione opposta e contraria infatti viene sdoganato il “subappalto a cascata” che rappresenta una vera nefandezza. La norma di fatto legittima e dunque consente anche nell’edilizia pubblica “l’ulteriore subappalto” del subappalto. Si passa dall’uno attuale al senza limiti, come nell’edilizia privata. La catena lunga e frammentata di subappaltatori che si verrebbe a determinare per realizzare economie di scala sarà un incentivo alle “scatole vuote”, alle imprese esistenti solo sulla carta. E soprattutto renderà complicato, se non impossibile, il rispetto delle norme su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. In un Paese dove si muore di lavoro ogni giorno. Tanto, troppo.
Le statistiche dimostrano che gli infortuni e le morti maggiori avvengono nei lavori gravosi, come ad esempio nell’edilizia, e che la fascia di età più colpita è quella degli ultra-sessantenni.
Ma non sono soltanto i più anziani che perdono la vita o si infortunano. Quale è la ratio che giustifica l’alternanza scuola lavoro? L’ obbligo per studenti inesperti di andare in fabbrica ed essere preda, di molte volte, discutibili organizzazioni aziendali? Non ci sembra questo quello che è scritto nella nostra Costituzione, per quanto mi riguarda sono fermamente convinto che l’alternanza scuola lavoro vada abolita! A scuola si va per studiare, e per questo siamo stati in piazza con i nostri studenti qui a Lucca.
Per cercare di arginare gli infortuni sul lavoro la Camera Del Lavoro di Lucca da ormai più di due anni ha deciso di costituirsi sempre parte civile. Credo che questa sia una scelta utile e coraggiosa, sulla quale poi dettaglierà l’avvocato Antonini.
Altre azioni utili sarebbero far sì che l’imprese che godono di sostegni pubblici debbano essere vincolate ad investire in sicurezza, aumentare ulteriormente il numero degli ispettori e potenziare i servizi di medicina del lavoro territoriali.
Garantire salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è al centro della nostra proposta, perché non è un costo ma un investimento per il presente e per il futuro del paese.
È chiaro che in base a tutto ciò la sentenza sulla strage di Viareggio resta una ferita che non potrà mai rimarginarsi. La CDL di Lucca è stata a fianco dei familiari delle vittime in tutto il percorso processuale, almeno fino a quando, un’altra discutibile sentenza non ci ha espunto dal processo.
Una grave tappa nella vicenda della strage di Viareggio del 29 giugno 2009 è stato il momento in cui la corte di Cassazione ha stabilito che non sussista l’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro (espressione non corretta ma suggestiva, quella corretta è “violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”). Sono così cadute per prescrizione tutte le condanne per l’omicidio colposo delle 32 vittime della tragedia, comminate in prima istanza dal Tribunale di Lucca e confermate dalla Corte d’Appello di Firenze, che invece avevano stabilito che era stata proprio la violazione di quelle norme che avrebbe concorso e determinato il disastro.
Mentre rinnoviamo la solidarietà ai familiari delle vittime di Viareggio, ma anche a tutti gli altri che in questi anni sono stati colpiti da simili lutti, ribadiamo che per la CGIL non può esistere un mondo migliore se non si estirpa la piaga delle morti sul lavoro e se non si puniscono i responsabili, e nessuna sentenza ci potrà mai impedire di batterci per queste cose.
La manovra finanziaria: il Reddito di Cittadinanza e l’evasione/elusione fiscale
Facendo l’analisi della fase socio/economico del nostro paese vediamo così emergere un quadro drammatico in cui ci sono: disoccupazione, povertà, precarietà, lavoro povero e molte volte insicuro, inflazione, giovani e donne che pagano il prezzo più alto, così come il sud del Paese. Siamo inoltre in un momento in cui, con la crisi energetica, potrebbero cadere in povertà altre 750 mila persone oltre a quelle che già ci sono. Lo dice il rapporto Svimez. Le spese di riscaldamento e per l’alimentazione sono incomprimibili e l’inflazione colpisce i più poveri.
Ci sarebbe voluta una manovra finanziaria che avrebbe dovuto considerare tutti questi fattori… Non è andata così. Il governo portando avanti un’agenda anche peggiore di quella Draghi, che a noi non ha mai convinto, fa scelte inique e sbagliate. “Una manovra coraggiosa” l’ha definita Meloni. In effetti ci vuole coraggio, e aggiungo io cattiveria, per colpire il reddito di cittadinanza, a maggior ragione in questo periodo. Fa impressione e svilisce profondamente l’immagine di una Presidente del Consiglio che inveisce e contesta con spropositata veemenza l’unica misura “anti povertà e di dignità sociale” esistente oggi in Italia, quella del reddito di cittadinanza, additandola quasi fosse il male peggiore del Paese.
E’ paradossale, se non surreale, ascoltarla etichettare il RDC come “immorale”, quando invece di profondamente immorale c’è solo il cinismo e il livore con cui la stessa si scaglia contro una misura che ad oggi, per il periodo record di quasi quattro anni (2019-2022), ha ridato finalmente dignità a milioni di Italiani indigenti, rei (a detta sua e della propaganda elettorale di molti partiti e non solo di destra, vedi Renzi) di essere dei furbetti, poltronisti e per giunta occupabili. Sebbene in molti però, stranamente, non riescano ad essere occupati, e non perché rifiutino le offerte, ma perché in realtà di offerte congrue (serie e dignitose) neanche l’ombra.
Il taglio del RDC è iniquo perché colpisce persone che, a mio avviso, hanno acquisito il diritto all’assistenza. Assistenza non è una parolaccia, è un segno di civiltà, di solidarietà sociale e di una cittadinanza più coesa. Garantire un minimo vitale a persone che ne hanno maggiore bisogno è giusto, oltre che necessario.
Io credo che un paese civile dovrebbe ragionare così e non farsi grattare la pancia da chi trasuda disprezzo e insofferenza verso i più deboli. Un disprezzo molto diffuso a destra, a sinistra e al centro. Penso alla filosofia del divano che ci ha tormentato in questi anni. Nei confronti di chi prende il reddito di cittadinanza c’è una mancanza di conoscenza da cui nasce il disprezzo. È impressionante il modo in cui vengono viste queste persone, dai media e dalla popolazione.
Ritorno sulla parola “occupabili”: ci sarebbe da ridere se non fosse un dramma. Secondo il Premier, questa parola è una mera astrazione, un requisito che in un mercato del lavoro come quello attuale, usando un eufemismo, è sostanzialmente un nonsense.
Sfuggono probabilmente a Meloni le dinamiche molto più complesse e articolate dell’attuale mercato del lavoro in Italia, dove i requisiti richiesti sono ben altri, non certamente quelli che presumibilmente lei considera per la definizione di “occupabile”, dove di fatto, per alcune categorie e fasce d’età (vedi over 40 e 50), anche il possesso di una laurea rende all’atto pratico difficile, se non impossibile, il reinserimento in un mondo del lavoro sempre più esigente e competitivo, talvolta anche per le mansioni meno ambiziose.
Se guardiamo i dati Inps e quelli dell’Anpal, scopriamo che esiste fra i percettori del reddito una larghissima maggioranza di persone con qualifiche molto basse. Hanno la terza media, talvolta nemmeno quella. Ci sono giovani, e meno giovani. Sono molto lontani dal mercato del lavoro, hanno storie di lavoro irregolare. Il passaggio dall’essere occupabile a occupato non è automatico. Non è togliendogli il «reddito» che troveranno un lavoro né ciò consentirà di mantenere una famiglia. Questo non significa non fare niente, ma molto peggio.
Ci vogliono tempo e investimenti. E nel frattempo queste persone devono mangiare. E come faranno? Probabilmente facendo quello che facevano prima: si arrabatteranno, si indebiteranno, andranno alla Caritas, faranno lavoretti, ricadranno nel lavoro nero, saranno ricattabili. Praticamente li stiamo ributtando nel gorgo, dal quale anche la malavita trae manodopera.
Lo stesso rapporto Caritas contrasta, con dati e fatti, la tesi del ridurre il Reddito di cittadinanza perché troppo generoso e abusato da non meritevoli. Ma anche questa storia dei cosiddetti furbetti del reddito è una panzana bella e buona. Certo fanno clamore le notizie, quasi quotidiane, sulle operazioni delle forze dell’ordine che denunciano truffe riguardo al reddito di cittadinanza. Ormai nelle redazioni è cosa nota che un articolo su un beneficiario con qualche chilo di cocaina addosso o la Ferrari in garage è una garanzia di successo nell’epoca dei click. Perfino un leader politico come Matteo Renzi è arrivato a soprannominarlo “reddito di criminalità”. Allora bisognerebbe guardare anche alla portata delle truffe di cui quotidianamente si occupano social e giornali.
Se si esaminano i numeri forniti dalle forze dell’ordine riguardo alle truffe denunciate, anche i più accaniti detrattori potrebbero ricredersi riguardo alla presunta emergenza furbetti del reddito di cittadinanza. Prendiamo in considerazione gli ultimi due anni, quanti soldi sono stati intascati da truffatori poi scoperti e denunciati? La Guardia di Finanza, che ha accesso a banche dati e collabora attivamente con l’Inps per individuare “specifici indicatori di rischio”, negli ultimi due anni ha denunciato 22mila persone, che avevano sottratto allo Stato 127 milioni di euro. Mentre i Carabinieri, che durante i regolari controlli sul territorio hanno denunciato 11mila persone che ricevevano irregolarmente l’aiuto anti-povertà, hanno scovato un indebito totale di 47 milioni. Vale a dire in totale, in un paio d’anni, circa 174 milioni di euro.
Sono comunque soldi presi illegittimamente e quindi da condannare, ma noi siamo in un paese in cui fra evasione ed elusione fiscale si arriva intorno ben oltre 120 miliardi di euro l’anno, quindi circa 250 miliardi in due anni. Fate il conto voi di quante volte stanno 174 milioni in 250 miliardi e poi abbiate il coraggio di negare che siamo davanti ad una pericolosa mistificazione della realtà.
È giusto per precisare non sono i lavoratori dipendenti salariati o i pensionati i responsabili di questa evasione, perché a noi le tasse ce le prendono prima di riscuotere!
C’è un esempio che faccio sempre e che rifarò: se l’Italia fosse una grande nave che viaggia per il mondo, ai piani alti ci sarebbero coloro che viaggiano nelle classi più agiate, mentre nelle stive più basse, umide e maleodoranti ci sarebbero la maggioranza dei passeggeri, i più poveri. Ma il carburante per far viaggiare la nave con la sua disparità di classi, per il 90% circa è pagato dai più poveri! questa è l’Italia e queste sono le tasse in questo Paese!
La manovra finanziaria: la flat tax
Abbiamo contestato fortemente la manovra di bilancio fatta l’anno scorso dal Governo DRAGHI sulle politiche fiscali. I 16 Dicembre abbiamo pure indetto lo sciopero generale nazionale. La rimodulazione dell’IRPEF non rispondeva ai bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori dei pensionati e delle pensionate, in quanto non dava assolutamente nulla all’85% delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati che hanno un reddito che non supera i 35.000 euro.
Cambiano i governi ma come succede spesso in questo paese, cambiano i suonatori ma la musica è sempre quella. Infatti, malgrado l’inflazione colpisca in primis il potere d’acquisto di lavoratori dipendenti e fasce deboli, la prima legge di bilancio del governo Meloni inaugura i saldi fiscali.
Non solo tregua fiscale, provvedimenti di condono e di rottamazione di cartelle esattoriali, ma anche una sensibile riduzione dell’aliquota d’imposta (dal 26 al 14 per cento) sui redditi da capitale e sulle rendite finanziarie per quanti vorranno anticiparne il pagamento. Prezzi ridottissimi (aliquota all’8 per cento) anche per gli imprenditori che vorranno riportare in Italia gli utili realizzati all’estero.
L’evasione fiscale viene tollerata e incentivata. Non si tiene affatto conto che il 70 per cento dell’evasione fiscale riguardante l’Irpef è dovuto ai lavoratori autonomi e imprenditori; che l’Iva non versata dagli stessi soggetti è di 26 miliardi, pari a un terzo di tutta l’evasione Iva in Europa (93 miliardi). L’evasione in Italia comprende anche l’Ires, l’Imu e l’Irap per un totale di circa 100 miliardi all’anno, una realtà che il governo Meloni non finge nemmeno di combattere ma che sembra anzi premiare e sostenere.
Vediamo alcuni numeri impressionanti. Con la Legge di Bilancio presentata dal governo verranno cancellate cartelle esattoriali per 415 miliardi di euro, poco meno della metà dell’intera “riserva” dell’Agenzia delle Entrate. Una montagna di soldi. In realtà il minor gettito atteso da tale cancellazione-rottamazione è stimato in 2,1 miliardi, che si aggiungono ai 2,5 della rottamazione-ter. Ma come è possibile cancellare 415 miliardi e avere un minor gettito “solo” di circa cinque miliardi? Perché quei 415 miliardi in larghissima parte non erano più esigibili. È evidente che c’è qualcosa che non funziona nel sistema di riscossione.
Sale da 65 mila a 85 mila euro, il regime forfettario del 15 per cento (la famigerata flat tax) per lavoratori autonomi e liberi professionisti. Una manovra che premia il blocco sociale della destra con sconti e benefici per imprese, lavoratori autonomi e liberi professionisti, mentre penalizza il blocco sociale del lavoro, che, come Cgil, cerchiamo e dobbiamo rappresentare: lavoro dipendente, lavoro precario, cassintegrati, disoccupati, pensioni da lavoro e la fascia di partite iva senza dipendenti con redditi bassi che dovremmo iscrivere in massa alla nostra organizzazione.
A parità di reddito, i lavoratori dipendenti arrivano a pagare un’Irpef tre volte più pesante delle partite Iva. Non solo. Ai regali fiscali per una serie di settori e categorie corrispondono tagli al reddito di cittadinanza e alle rivalutazioni delle pensioni da lavoro dipendente, mentre l’aumento seppur giusto delle pensioni minime corre il rischio di ristorare una gran fascia di esercenti che hanno dichiarato al fisco e versato contributi molto al di sotto di quanto effettivamente guadagnato, come è apparso evidente nella gestione dei ristori di molte attività chiuse dalla pandemia.
Il sistema fiscale allarga iniquità e sperequazioni e rottama l’articolo 53 della Costituzione sulla progressività del prelievo. Il contributo all’Erario delle imprese, del lavoro autonomo e dei detentori di rendite è molto al di sotto della loro capacità contributiva.
Lo Stato Sociale, di cui usufruiscono tutti i cittadini, com’è noto, è sostanzialmente finanziato dal prelievo sui lavoratori dipendenti e sui pensionati. Tutta la spesa pubblica (infrastrutture, incentivi fiscali, bonus) orientata in primo luogo a soddisfare le esigenze dell’economia, è finanziata da imposte sul lavoro o tramite l’indebitamento pubblico.
La leva fiscale non è, come dovrebbe essere, lo strumento per trovare le immense risorse che servono ad affrontare le emergenze sociali e ambientali del nostro tempo, ma è diventata l’arma contro il lavoro dipendente e contro le fasce deboli, verso le quali non si esita a usare toni di criminalizzazione.
La Meloni è stata chiara, ancor più di Berlusconi: lasciamo lavorare imprenditori e faccendieri di varia sorta, perché sono loro che fanno girare l’economia. I poveri ed i disoccupati si sentano pure in colpa per non avercela fatta in una società dove l’uomo è lupo per l’altro uomo.
La discussione sul tetto del contante e sulla franchigia all’uso del Pos (provvedimenti comunque sbagliati) è un diversivo che oscura il dato politico di fondo di un governo che reagisce alla crisi della globalizzazione con politiche di chiusura corporativa, di discriminazione sociale, di divisione e sgretolamento territoriale.
La distruzione della progressività del sistema fiscale e la riduzione della base imponibile del sistema fiscale rappresenta lo strumento scelto per rompere in modo definitivo quel compromesso socialdemocratico tra Stato e mercato che, con alterne vicende, ha caratterizzato il capitalismo occidentale dal secondo dopoguerra fino ad oggi.
C’è da dire, purtroppo, che la destra è stata agevolata in questo processo dai precedenti governi di centro-sinistra. Da una legge finanziaria all’altra sono stati introdotti regimi speciali e sostitutivi, trattamenti di favore, cedolari secche, incentivi e bonus, stravolgendo e calpestando i princìpi di equità e di progressività fiscale.
L’autonomia differenziata
In un paese caratterizzato dalle disuguaglianze socio/economiche si pensa inoltre a dividere ancora di più, attraverso il progetto riguardante la cosiddetta Autonomia Differenziata, che è pericoloso e va assolutamente contrastato con ogni mezzo.
La Lega l’ha spinta, e la sta portando avanti con Calderoli, ma chi ha spianato la strada sono stati prima il governo Gentiloni a fine febbraio 2018, con l’allora sottosegretario Gianclaudio Brescia, e poi il presidente dell’Emilia Bonaccini che – pur con richieste un po’ diverse – ha dato copertura politica a Zaia, Maroni e Fontana. La Lega ha sfondato grazie all’azione di politici che sembrano “giocare nell’altra squadra”.
Nel vivo e pesante evolversi di una crisi economica, finanziaria e sociale delle proporzioni che stiamo vivendo, l’idea stessa di approvare un provvedimento (che compie un primo passo già con Legge di Bilancio, art.143 DDL) che di fatto divide cittadini e territori può solo rispondere ad una logica perversa e fallimentare rispetto ai rapporti fra Stato e Regioni, fra cittadini e servizi pubblici.
Questa proposta può a buon diritto essere definita la secessione dei ricchi. Dei territori ricchi rispetto a quelli poveri, degli strati sociali più elevati rispetto a quelli più deboli, portando allo sgretolamento dell’unità della Nazione e dell’uguaglianza dei diritti e delle prestazioni, a seconda di dove il caso o la sorte ci ha fatto nascere. La proposta storica leghista fa il paio con il presidenzialismo tipico della destra post-fascista integrandosi a vicenda. L’elezione diretta e plebiscitaria del capo dello Statto supplirebbe e riunificherebbe così i 20 staterelli divisi e confusi che risulterebbero del processo di attribuzione esclusiva di materie proprie dello Stato unitario, al quale rimarrebbero sostanzialmente la politica estera e soprattutto esercito e ordine pubblico.
La stessa modalità di discussione ed approvazione attraverso la Conferenza Stato-Regioni sottrarrebbe allo stesso parlamento la discussione ed il voto, ed ai cittadini la stessa possibilità di esprimersi attraverso referendum. L’Italia è una, i problemi che attanagliano le persone sono gravi e di difficile soluzione. O se ne esce tutti insieme da questo travaglio o molto semplicemente non se ne esce.
Per questo non ci possono essere territori di serie A ed altri di serie B, non si possono concepire una sanità, una scuola, un pubblico servizio differenziati a seconda della posizione geografica, della ricchezza o comunque miglior agiatezza che contraddistinguono alcune parti del paese. I diritti sono uguali ed inseparabili. La collaborazione tra privato e pubblico per la soluzione delle criticità deve essere garantita, programmata e perseguita in ogni singola regione italiana in base a criteri di solidarietà e civiltà.
Con l’autonomia differenziata avremmo la fine del contratto nazionale di lavoro, a partire da quelli di scuola, università e ricerca, tornando alle gabbie salariali in tutti i settori, così come avremmo la fine della ricerca di un livello omogeneo delle prestazioni sociosanitario per l’intero Paese. Questo succederebbe attribuendo le risorse in base alla spesa storica e trattenendo il gettito fiscale nei luoghi in cui si produce maggiore ricchezza.
Si tratterebbe della costituzionalizzazione del neoliberismo, che premia i forti rispetto ai deboli, a cui invece le risorse dovrebbero andare in maniera inversamente proporzionale al reddito per sanare disequilibri voluti dalle classi dominanti. Bisogna dare di più al lavoro dipendente rispetto alla rendita, bisogna dare di più al mondo del lavoro povero. Allo stesso modo bisogna dare di più ai territori dove c’è meno stato sociale, meno lavoro, più devastazione del territorio, meno trasporti e meno servizi scolastici di qualità.
Un paese è grande, efficiente e moderno se è in grado di assicurare comuni e diffusi stati di attenzione ed impegno per i propri cittadini. La proposta di Autonomia Differenziata nega il diritto universale e gratuito alla conoscenza, alla salute ed alla ricerca del massimo benessere umano e sociale possibile per tutti i cittadini di qualunque regione o provincia del paese. Per questo va contrastata con decisione facendoci noi, CGIL, garanti e sostenitori dei diritti individuali e collettivi così ben formulati nella nostra Costituzione.
Una battaglia che va a braccetto con la difesa delle assemblee elettive rispetto allo strapotere degli esecutivi, una legge elettorale proporzionale e l’elezione diretta di enti di rilevanza costituzionale come le provincie e le città metropolitane.
Gli extraprofitti
Per liberare ulteriori risorse in una fase drammatica come quella attuale la CGIL chiedeva al governo Draghi e chiede al governo Meloni di tassare di più gli extraprofitti. Vale la pena ricordare sinteticamente che sia per gli effetti della pandemia, che per la speculazione finanziaria e la guerra in Ucraina, se da una parte ci sono state ricadute negative tragiche ed enormi, per alcuni settori dell’economia c’è stato un aumento esponenziale dei guadagni, cifre esagerate fino anche al 400%. Settori come quello farmaceutico trainato dalla pandemia, quello energetico trainato da una folle speculazione o quello alimentare spinto dagli effetti della guerra.
Queste maggiori entrate non sono frutto di scelte geniali di imprenditori lungimiranti e capaci, che con le loro visioni e scelte hanno fatto guadagnare le loro aziende cifre mai viste prima, ma solo alla situazione socio/politica ed alla speculazione, non ad un aumento della loro produttività. No! A questi signori ad un certo punto per effetto di pandemia, speculazione e guerra, si è rotto il bancomat ed ha cominciato a gettargli soldi ininterrottamente.
Peccato che quei soldi siano i nostri. Siamo noi che paghiamo l’aumento esoso delle bollette, della benzina, della spesa o dei medicinali. E allora, in un momento difficile come questo, sarebbe giusto che questo extraprofitto fosse tassato del 100%, come peraltro fanno altri paesi d’Europa. Infatti le tasse sui super-profitti devono essere introdotte ovunque, come raccomandato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres.
Invece niente! Il governo Draghi era arrivato al 25%, la Meloni al 35%, che sarebbe di più, se però contestualmente non avesse ridotto la platea degli interessati da 11.000 a 7.000 aziende.
Le imprese interessate hanno comunque contestato anche questa minima tassazione, rifiutandosi di pagare ed inscenando una serie infinita di ricorsi procedurali. E la cosa paradossale e che fra coloro che non vogliono pagare ci sono anche importanti aziende statali o partecipate. A volte ho proprio la sensazione di avere a che fare con ladri in giacca e guanti bianchi.
La questione previdenziale
Qualcuno quando ascoltava la campagna elettorale di coloro che poi hanno vinto sul tema delle pensioni, sulla abrogazione della Fornero, su quota 100, su mille euro per le pensioni minime etc.etc., qualcuno ci aveva pure creduto o ci aveva sperato. Gli slogan e le promesse elettorali, ancora una volta, si sono dimostrati come vera e propria pubblicità ingannevole.
Nonostante gli impegni assunti dalla Presidente del Consiglio sul coinvolgimento delle Organizzazioni sindacali e sull’apertura di un confronto di merito e preventivo, con il Ddl Bilancio il Governo interviene in maniera unilaterale anche sul terreno pensionistico. Ma non c’è solo un problema di metodo. In sostanza, non solo non vi è alcun miglioramento né allargamento delle tutele e dei diritti previdenziali, ma c’è un intervento regressivo rispetto alla situazione attuale, con una stretta che va in perfetta continuità con il recente passato.
Prima quota 100, poi quota 102, adesso quota 103: si procede spediti verso un ritorno alla legge Fornero “in purezza”. Nessun superamento della legge Fornero, dunque, e nemmeno la possibilità di accedere al pensionamento con 41 anni di contribuzione, come chiedevamo. Quindi per quanto ci riguarda le misure previdenziali approvate dal Consiglio dei ministri sono molto limitate, largamente insufficienti e, in alcuni casi, addirittura peggiorative rispetto al quadro normativo vigente.
Per rendersene conto basta guardare i numeri nudi e crudi, senza mai dimenticare che dietro alle cifre ci sono le persone. Il saldo delle risorse previsto dal governo sul “capitolo pensioni” non mente: nel 2023 a fronte di 726,4 milioni di euro che finanziano i diversi interventi (Quota 103, Opzione donna, Ape sociale e altro), si sottraggono al sistema ben 3,7 miliardi di euro tra taglio della rivalutazione delle pensioni in essere (-3,5 miliardi solo nel 2023) e abrogazione del fondo per l’uscita anticipata nelle PMI in crisi (-200 milioni).
Dalla riforma Dini alla cancellazione di Quota 100, governi di diverso colore, compreso l’ultimo, hanno progressivamente ridotto l’accesso ai diritti in tema di previdenza, usando il falso argomento del conflitto generazionale.
I giovani degli anni Ottanta ormai hanno fatto in tempo ad invecchiare, probabilmente facendo una vita peggiore dei loro genitori, e vedendo peggiorare anche quella. Erano i tempi in cui si cominciò a teorizzare che i “troppi” diritti raggiunti, ribattezzati privilegi, danneggiavano il futuro dei giovani.
Il risultato è che da anni, nel Rapporto sullo stato sociale redatto alla Università La Sapienza di Roma viene richiamata l’attenzione sulla “bomba sociale” in arrivo: quasi il 60% di quanti hanno iniziato a lavorare a metà degli anni ’90, a causa dei salari bassi e instabili finora avuti, permanendo gli assetti del sistema previdenziale e del mercato del lavoro, matureranno una pensione inferiore alla soglia di povertà. Alle stesse generazioni che nell’età attiva stanno subendo le conseguenze di politiche economico-sociali controproducenti che alimentano la precarietà di vita, pregiudicando perfino la loro possibilità di fare figli, si sta prospettando una anzianità con condizioni di vita ancora peggiori.
Come CGIL, ribadiamo la necessità di una vera riforma del nostro impianto pensionistico, così come indicato nella piattaforma sindacale unitaria, attraverso la cancellazione della Fornero, l’uscita flessibile a partire dai 62 anni, il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori, la pensione di garanzia per i giovani e per chi ha carriere discontinue e povere, il riconoscimento del lavoro di cura e della differenza di genere, l’uscita con 41 anni di contributi senza limiti di età.
Le spese militari
Dal 2019 ad oggi il nostro paese ha intrapreso una crescita graduale delle risorse destinate al comparto militare sia sul bilancio ordinario che sugli investimenti, che ci consentirà, entro il 2028, il raggiungimento dell’obiettivo del 2 per cento del PIL. Si tratta cioè di passare da una spesa attuale di 25 miliardi a circa 38 miliardi di euro. L’input su questo obbiettivo era stato rafforzato dal governo Draghi attraverso le dichiarazioni del ministro Guerini. Ovviamente il governo Meloni persegue l’agenda Draghi
Il nuovo ministro della Difesa del governo Meloni, Guido Crosetto, ce lo aveva già detto che tali spese sarebbero state incrementate sino ad arrivare al 2% del PIL, confermando la politica intrapresa dal precedente esecutivo, ma vedere le cifre della legge di Bilancio ha un suo impatto negativo, soprattutto a fronte dei tagli invece disposti per settori cruciali quali scuola, sanità e pensioni!
Infatti i dati dell’Osservatorio Milex sulle spese militari italiane rivelano che si passerà dai 25,7 miliardi del 2022 ai 26,5 miliardi per il prossimo anno. Va sottolineato che, se una parte consiste in fondi previsti “a legislazione vigente” (stabiliti quindi da governi precedenti), la spesa di oltre 800 milioni circa viene da decisioni direttamente ascrivibili alla manovra di bilancio del governo Meloni.
Ripeto, vengono lasciate briciole nella sanità, tagli alle pensioni, ragazzi a scuola nei container, ma noi ci armiamo. Perché, anche vedendo quello che sta succedendo in Ucraina, qualcuno nel 2022 pensa sempre che le soluzioni delle controversie internazionali passino da fucili e baionette! Una vergogna, una follia!
La patrimoniale
La celebrazione della Giornata internazionale dei diritti umani il 10 dicembre ci ricorda che pandemie, guerre e recessioni, per quanto terribili e dolorose possano essere, non esimono gli Stati dall’adempiere ai loro impegni in materia di diritti umani, né permettono loro di dare priorità ad altre questioni. Al contrario, è nel bel mezzo delle crisi che l’impegno per i diritti umani ha più senso, quando, attraverso la protezione sociale e i servizi pubblici, lo Stato riesce a proteggere i mezzi di sussistenza e i diritti economici, sociali e culturali delle persone più vulnerabili.
Questo è anche l’unico modo per dare un significato alla democrazia agli occhi di tutti. Nella nostra bellissima Costituzione c’è scritto chiaramente nei primi articoli che voglio rileggere:
Art.2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art.3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ed allora se è vero come vero che viviamo in una fase drammatica, se è vero come è vero che tantissime persone vivono nella povertà assoluta, se è vero come è vero che in Italia ci sono oltre un milione di bambini che vivono nell’indigenza, se è vero come è vero che ci sono sempre più ricchi e sempre più esosamente ricchi, se è vero come è vero che ormai si è poveri anche lavorando, minando l’Art,1 della nostra Costituzione che dice l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Se né vero tutto ciò, ed è vero! Perché non si può chiedere un contributo straordinario a chi ha tantissimo per aiutare chi non ce la fa? Cosa c’è di male? Cosa c’è di sbagliato? Cosa c’è di così terribile da non poterla nemmeno nominare la parola PATRIMONIALE?
E la chiedo senza girarci intorno, perché è il momento della responsabilità e della fraternità, non dell’incitamento a far da sé e ad arrangiarsi. Perché credo che la patrimoniale sia alla base di una più equa ridistribuzione della ricchezza. Perché credo che aiutarsi nel momento del bisogno sia alla base di un mondo più giusto, un mondo migliore!
Il futuro, i giovani e il nuovo modello di sviluppo
Quando penso ad un mondo migliore, penso a quello che mio nonno lasciò a mio padre ed a quello che mio babbo ha lasciato a me. Poi mi intristisco e sto male, perché io non sono riuscito a lasciare a mio figlio un mondo migliore. E pur avendoci provato mi sento responsabile, e dovremmo tutti sentirci così se pensiamo a quello che lasciamo ai nostri figli ed ai nostri nipoti. Gli lasciamo un mondo disastrato dal punto di vista ambientale, con una scadenza per la vita umana. Ma ci pensate? Pensate ai vostri nipoti perché non occorre andare troppo avanti.
Gli lasciamo un mondo dilaniato dai conflitti, dalla miseria più profonda, aggredito da nuove malattie, sicuramente agevolate dal nostro modello di sviluppo completamente sbagliato. Malattie che non si fermano con i muri, i fili spinati e tutti gli altri steccati che invece stanno aumentando nel mondo, condannando chi fugge e cerca un rifugio persino alla morte nell’ipocrisia totale.
Gli lasciamo anche in Italia una situazione gravissima sul versante sociale: disoccupazione, sfruttamento, lavoro povero e zero speranze di programmare un futuro, una famiglia, una casa. Una volta si parlava di ascensore sociale, lo strumento per cui, se il figlio di un operaio avesse studiato, sarebbe potuto diventare dottore. Ebbene, oggi, se il figlio di un operaio ce la fa a diventare operaio è già fortunato, perché sono molte di più le possibilità che diventi disoccupato, precario o sfruttato.
Ma alla tracotanza e cattiveria di certi politici, non basta aver contaminato quasi in maniera irreversibile il futuro dei nostri ragazzi. No dopo avergli pregiudicato il loro futuro, cercano anche cucirgli addosso ila nomea di fannulloni e vagabondi, sdraiati sul divano a godere delle immense fortune del Reddito di Cittadinanza mentre rifiutano proposte di lavoro bellissime!
Allora parliamone di queste meravigliose offerte che venivano fatte ai nostri ragazzi dai vari Briatore e Santanchè e via dicendo. Dicevano che gli davano addirittura più di mille euro al mese, fino anche a mille e cinquecento. Ma siccome si lavora in stagione, non ci sono giorni di riposo o di festa, non ci sono riposi quotidiani, si mangia un panino e via, 12/14 ore al giorno, ovviamente non tutte assicurate. Ma vi rendete conto di quanto viene poi effettivamente l’ora? Ve lo dico io 3/4 euro. Cosa è questo se non sfruttamento? E succede spesso, perché poi alcuni ragazzi trovano il coraggio di venire in CGIL e denunciarlo.
Ecco io penso che come CGIL dobbiamo avere un occhio di riguardo verso i giovani, e come Camera del Lavoro Di Lucca ci abbiamo provato e ci stiamo provando. Abbiamo fatto tante iniziative con gli studenti delle scuole su vari argomenti, dalla violenza di genere, alla presentazione di libri, ultimo “Corrotti” sulla criminalità, opera della Compagna Lara Ghiglione della CGIL Nazionale, presente qui oggi ai nostri lavori. Abbiamo, sempre per citare le più recenti iniziative, organizzato per le scuole la rappresentazione teatrale sulla vita di Giuseppe Di Vittorio, riscuotendo grande attenzione ed apprezzamento. Abbiamo aperto le nostre sedi ai giovani di FFF, ed insieme a loro organizzato iniziative pubbliche e, durante la pandemia, in videoconferenza. Li abbiamo invitati ai nostri direttivi a sentire anche ciò che pensano i lavoratori sulla transizione ecologica. Collaboriamo con l’ANPI e con l’ARCI, ed insieme siamo andati nelle scuole a parlare ai giovani della Resistenza. Sicuramente una bella ed innovativa idea che abbiamo realizzato insieme alla FILCAMS, è stata la presenza di un nostro stand presso l’Area Pro del Lucca Comics & Games, puntando molto sull’intercettare i giovani, che si sono avvicinati con curiosità e disponibilità.
Dobbiamo ascoltare i giovani, confrontarci con loro, anche perché come loro, siamo fermamente convinti che dobbiamo cambiare radicalmente l’attuale modello di sviluppo. Se vogliamo superare questa fase difficilissima dobbiamo fare scelte importanti, innovative e radicali. Ci vogliono riforme vere, ispirate da criteri di solidarietà e giustizia sociale, fondate sulla qualità e la stabilità del lavoro, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e su nuove politiche industriali ed energetiche capaci di prospettare un futuro per il Paese, sulla trasformazione digitale e la riconversione verde, su uno stato sociale più forte e qualificato. Ci vogliono nuove politiche industriali, dove sia importante non solo quanto si produce, ma anche come e per cosa si produce, a partire dalla riconversione delle fabbriche militari.
Inoltre si manifesta sempre più palesemente la necessità di un profondo cambiamento sul versante della dipendenza energetica dalle fonti fossili e la necessità di accelerare gli obiettivi di decarbonizzazione dell’economia.
Ci vuole un forte ruolo pubblico nell’economia per aiutare le aziende, ma anche per indirizzarle verso una produzione che vada nel solco della transizione ecologica. Ad esempio, se il futuro è del fotovoltaico, produciamo pannelli adatti invece di acquistarli in altri paesi.
In un mondo del lavoro che è stato diviso fino alla frantumazione, occorre inoltre la ricomposizione del ciclo produttivo. Non è più accettabile che per colpa di appalti ed esternalizzazioni, negli stessi luoghi di lavoro, molte volte a fare le stesse mansioni ci siano lavoratori e lavoratrici con contratti e trattamenti molto diversi.
Come Cgil è tanto che proponiamo queste cose e tante altre che vanno nella stessa direzione. Sono scelte importanti, quasi drastiche, ma se siamo arrivati alla grave situazione economica, sociale ed ambientale attuale, dobbiamo sapere che non è colpa di un destino cinico e baro, ma sono anni ed anni di scelte politiche sbagliate, che sostanzialmente hanno ignorato la nostra Costituzione.
Credo sia giunto il momento di ridare centralità al lavoro ed ai lavoratori, solo così potremo disegnare un futuro migliore per i nostri ragazzi.
La rappresentanza politica del lavoro
Negli ultimi decenni nel nostro Paese si è prima manifestato e poi progressivamente, e colpevolmente, accentuato un deleterio distacco fra i lavoratori e il mondo del lavoro in generale ed i Partiti. I problemi, le richieste e le proposte che provenivano da quella parte decisiva del paese e dai sindacati venivano o ignorati o trovavano risposte inadeguate e parziali.
Con il passare degli anni, quella che possiamo tranquillamente definire una svolta neoliberista di ciò che dopo il crollo del muro di Berlino rimaneva della sinistra italiana ha allargato la propria influenza, contagiando non solo pensieri e analisi, ma finendo addirittura per caratterizzare la natura stessa di ciò che si rifaceva agli ideali ed alle tradizioni della cosiddetta sinistra di governo.
Nel tempo lavoratori e cittadini hanno finito per non cogliere più nessuna differenza tra sinistra e destra. Non a caso i provvedimenti che negli ultimi 10/20 anni hanno maggiormente colpito diritti e prospettive del mondo del lavoro sono arrivati con governi guidati o appoggiati da formazioni politiche identificate a sinistra.
La CGIL ha dovuto rapportarsi con questa situazione inedita, caso presente esclusivamente nel nostro paese, visto che all’estero, sia in Europa che altrove, tra ritardi e difficoltà enormi, sono però presenti ed attivi partiti e movimenti dichiaratamente di sinistra. Da noi invece la scelta neoliberista, avviata ai tempi dell’inizio della celebrata globalizzazione, ha trovato terreno fertile, e quindi indirizzando logiche ed atti di politica economica e sociale che niente avevano a che fare con gli ideali ed i bisogni reali di solidarietà, libertà ed emancipazione del lavoro e dei lavoratori.
Questa deriva economica e finanziaria ha poi terminato per condizionare non solo le azioni a livello nazionale, ma, molte volte, anche quello locale di carattere amministrativo con importanti ricadute sociali sui territori.
Non esiste oggi in Italia una rappresentanza politica adeguata del mondo del lavoro, perché non è adeguato chi ormai è troppo distante e non ha più nessuna sintonia con esso, pur pretendendo di stare nel campo della sinistra. Mi verrebbe da rispondere con una semi-citazione di Forrest Gump: “sinistra è chi la sinistra fa”.
Allo stesso tempo, non sono sicuramente adeguati quella miriade di piccoli partitini della sinistra radicale, propensi più a litigare fra loro e criticare che non a capire perché non crescono, e facendo così la sinistra radicale si sia dimostrata allo stesso tempo impolitica e residuale.
Si avverte la necessità nel nostro Paese di un progetto politico che metta il lavoro al centro di ogni ipotesi di ricostruzione, e che conti sui lavoratori, le giovani donne e uomini, i precari e l’intellettualità diffusa, come nuove leve per la creazione di gruppi dirigenti all’altezza della sfida. La sinistra in tutte le sue versioni si è rivelata nel corso della crisi al di sotto della sfida. Sia dal punto di vista dell’analisi che degli strumenti. La scomparsa quindi di una o più forze in grado di discutere, analizzare e rappresentare le istanze del mondo del lavoro e dei sindacati ha generato questa frattura sociale, aprendo così le porte alla peggiore reazione possibile da parte delle forze economiche e finanziarie più importanti.
Perché se c’è una verità è quella che non esiste nella storia e nella geografia un luogo o un momento in cui si siano fatte grandi conquiste sociali e sindacali senza una adeguata sponda politica, che non è la cinghia di trasmissione del motore sindacale, e non implica né la subalternità né la mancanza di autonomia di quest’ultimo. Ma è l’esistenza di forze politiche che in parte o del tutto siano in sintonia con le esigenze del mondo del lavoro, che ascoltino e raccolgano le istanze portate avanti dalle organizzazioni sindacali e le trasformino in atti e leggi concrete. Successe così per lo Statuto dei Lavoratori e per tante altre conquiste, ma oggi il sindacato è maledettamente solo!
Il voto che il 25 settembre ha portato al governo una destra reazionaria, classista e razzista, trae a nostro avviso origine da questo vuoto sociale, economico e culturale che si è prodotto all’interno della società italiana in decenni di negazione dei diritti e dell’importanza civica e morale del lavoro, a favore della grande finanza speculativa e della peggior imprenditoria, predatoria della dignità dei lavoratori e dei beni naturali del paese.
Pochi numeri per spiegare. Il M5S è di gran lunga il primo partito tra precari e disoccupati, mentre segue FdI tra gli operai. Il M5S è anche il primo partito tra i giovani e tra gli studenti. Il Pd è il primo partito tra dirigenti e quadri e secondo, dopo FdI, tra gli insegnanti e gli impiegati (dati Tecné ). Sono dati impressionanti ai quali, purtroppo, la sinistra ufficiale, in tutte le sue versioni, si è rassegnata al di là della retorica “non lascio a nessuno la questione sociale”.
Fanno ancora più rabbia letti nel contesto dell’astensione. L’astensione: ha un nettissimo segno di classe. Supera il 42% tra i disoccupati, arriva al 40% tra i lavoratori precari, è oltre il 37% tra gli operai. Scende al 20% tra imprenditori, liberi professionisti e impiegati.
Non sta a noi risolvere questa anomalia, non tocca alla CGIL il compito di ricostruire un soggetto politico all’altezza delle sfide anche inedite e difficile che questa infinita crisi presenta. Ognuno deve fare il suo mestiere. Alla CGIL nazionale e locale spetta il compito di rappresentare rivendicazioni e formulare proposte per difendere, e soprattutto migliorare, la vita delle persone.
Sperando di favorire con il nostro lavoro l’avviarsi, oramai urgente, di una seria e puntuale riflessione che coinvolga le tante esperienze che si muovono ed operano ai vari livelli nel mondo colpito duramente, ma ancora indispensabile, della sinistra italiana. È un tema questo che ci riguarda come Cgil, indipendentemente da come ciascuno o ciascuna di noi abbia votato.
Il nostro territorio
Territorio” è una parola importante e che usiamo molto spesso, ma cosa significa in concreto per il sindacato, per la Cgil e, soprattutto, che cosa comporta in termini di analisi della realtà, di costruzione di proposte, di impegno e mobilitazione sociale? Nel “territorio” vivono e operano i lavoratori e le aziende, si sviluppano le relazioni ed i conflitti sociali che insieme a identità storica e cultura costruiscono il presente ed il futuro delle nostre comunità locali.
In un’epoca dominata da una globalizzazione neoliberista che produce crescenti ingiustizie e abnormi diseguaglianze, drammatici danni ambientali e colpisce al cuore gli stessi principi democratici, nel “territorio”, nella dimensione locale possono svilupparsi reazioni opposte. Possono vincere chiusura, arroccamento, razzismo, guerra tra poveri, strumentale costruzione del nemico oppure, al contrario, impegno per costruire una comunità locale coesa, solidale, attenta alle risorse ambientali e sociali del territorio e capace di trarre forza da queste risorse per aprirsi, alla comunità nazionale, europea e globale. Questo è il “territorio”, il locale che ci piace.
Di questa realtà nella nostra provincia e nelle diverse aree di essa, come sindacato, sempre più vogliamo essere protagonisti, attori vitali e propositivi, forti del nostro radicamento nel mondo del lavoro, delle competenze, delle idee e delle proposte che siamo capaci di mettere in campo. Già oggi la Cgil opera e pesa in misura importante nelle diverse realtà della nostra provincia: con la contrattazione di fabbrica e di settore e con quella sociale con le amministrazioni locali, con la costante mobilitazione per la sanità, con i servizi di assistenza e sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori, ai pensionati, ai disoccupati, ai precari, ai cittadini più deboli. Ma siamo convinti che possiamo fare di più e meglio, e in questo senso vogliamo concentrare l’attenzione nei prossimi mesi e anni. In quali direzioni muoversi? Prima di tutto serve conoscere sempre meglio la realtà in cui operiamo.
E, per non annoiarvi troppo nella relazione, troverete dentro la cartellina che vi è stata consegnata all’ingresso alcuni risultati emersi dall’analisi dei dati fatti da un importante studio socio/economico della nostra Provincia che la CGIL di LUCCA ha commissionato ad IRES Toscana. Un’analisi attenta e dettagliata del territorio lucchese. Sintetizzando ciò che emerge da questi dati, vediamo la conferma dei punti di forza e di debolezza della struttura industriale locale.
Guardando all’export della Provincia di Lucca già nel primo semestre 2021 i principali settori manifatturieri avevano superato i valori del 2019, anno prepandemia e nel 1° semestre 2022 si è registrata una ulteriore crescita sul 2021 pari al 26,50%. Gli unici settori ancora su livelli inferiori al 2019 sono “calzature e abbigliamento” (-10,46%) e “prodotti chimici e farmaceutici” (-12,78%). In netta crescita tutti gli altri settori a partire da “carta” con 693 milioni di export (+48,3% sul 2019), “prodotti della metallurgia” con 195 milioni di euro (+80,47%), “apparecchiature elettriche” con 199 milioni di euro di prodotti esportati (+53,02%). I dati relativi al 3° trimestre disponibili dalla scorsa settimana confermano un’ulteriore, sia pur limitata, crescita (+2,33%) sul trimestre precedente, e +12,81% sul primo trimestre 2022.
I dati del Centro per l’impiego di Lucca confermano nei primi nove mesi del 2022 una crescita delle assunzioni non solo relativamente agli anni 2021 e 2020, ma anche al 2019 pre pandemia. Al tempo stesso sappiamo bene che permane l’inaccettabilità di un lavoro sempre più precario e povero, con quasi 9 contratti su 10 a tempo determinato, in somministrazione e intermittente.
Se vogliamo fare bene il nostro lavoro, il supporto di conoscenza, dati e confronti è fondamentale, ecco perché come Cgil provinciale vogliamo lavorare con rinnovato impegno su questi temi. A partire dalla costituzione di un gruppo di lavoro del nostro sindacato per la raccolta e l’analisi di dati economici e sociali a livello provinciale e subprovinciale. Il gruppo di lavoro si avvarrà della collaborazione di docenti universitari e di esperti disponibili a collaborare con la Cgil di Lucca nell’organizzazione di questa attività e nell’analisi dei dati a livello territoriale. I dati statistici ufficiali saranno integrati e qualificati da dati e informazioni raccolti nell’attività sindacale a livello locale, di categoria e nel confronto con le aziende. Naturalmente questa iniziativa avverrà in stretto raccordo con Ires Cgil Toscana, che ringrazio calorosamente per il grande supporto che ci ha fornito.
Le tre aree della Provincia di Lucca
Un’altra chiave interessante di lettura è quella basata sulla conformazione geopolitica e socioeconomica della nostra Provincia, che si può dividere in 3 macroaree: la Piana di Lucca, la Versilia e la Valle del Serchio, che hanno caratterizzazioni assai diverse fra loro, dove si sviluppano ed articolano i vari settori produttivi. Abbiamo quindi:
Lucca e la Piana
Sul piano istituzionale pensiamo che sia necessario accentuare al massimo il coordinamento e la costruzione di scelte unitarie a livello istituzionale tra i Comuni della Piana di Lucca. Non solo a livello sanitario e sociale, ma in tutti gli ambiti del governo locale.
Pensiamo a risorse e tematiche decisive per la qualità della vita e per lo sviluppo delle imprese nel nostro territorio: aria e l’acqua, rifiuti e economia circolare, energia, mobilità delle persone e delle merci, ma anche politiche per l’innovazione, per la cultura, per i giovani, ecc… Non ci possono essere scelte minimamente adeguate se ogni Comune procede per proprio conto. Per questo chiediamo da subito ai Comuni esistenti chiediamo un forte coordinamento unitario.
Al tempo stesso proponiamo a Confindustria e alle altre organizzazioni di categoria di attivare tavoli di confronto territoriale sui temi che condizionano insieme la produttività delle imprese e la qualità del lavoro e della vita nel territorio. Tavoli dove su alcune questioni, come è successo per la pandemia, si possa coinvolgere anche la Prefettura. Per esempio per attivare una rete di confronto attivo per monitorare le importanti declinazioni operative dei fondi previsti dal PNRR, e per vigilare anche sulla mai scongiurata probabilità di infiltrazioni malavitose.
Di fronte ai radicali cambiamenti in cui siamo chiamati ad operare, nel merito delle politiche territoriali, vogliamo guardare decisamente al futuro, senza restare schiavi del passato. Faccio qualche esempio.
Nella Mobilità. I cosiddetti “Assi Viari” sono un’idea decisamente vecchia per affrontare il tema fondamentale della mobilità delle persone e delle merci, che non risolve i problemi ed è incompatibile con un territorio bello e fragile come il nostro. Continuare a ripetere, come accade da tempo, che questa grande viabilità va realizzata, ma che servano cambiamenti al progetto Anas, a partire dalla possibilità di sopraelevare la superstrada o di lasciarla a terra, non porta da nessuna parte se non a perdere ancora tempo. Apriamo finalmente una discussione capace di guardare al futuro. Già non mancano temi e scelte nuove che sono in campo.
Concentriamo il massimo impegno per il raddoppio della linea ferroviaria da Pistoia fino a Viareggio e per il potenziamento della Lucca-Aulla e della metropolitana di superficie Lucca, Pisa, Livorno. Facciamo scelte vere di potenziamento del trasposto pubblico su gomma, anche sperimentato la totale gratuità almeno per giovani e anziani. E lavoriamo così per spostare migliaia di persone su mezzi pubblici su rotaia e su gomma, piuttosto che con quelli privati.
Potenziamo gli scali merci e laddove possibile i collegamenti ferroviari diretti con le fabbriche, con l’obiettivo concreto di togliere dalle strade migliaia di autotreni che ogni giorno ingolfano e inquinano il nostro territorio. Pretendiamo che vengano destinate in queste direzioni le ingenti risorse bloccate per superstrade sbagliate, e che mai si faranno, e le nuove risorse previste dal PNRR.
Penso alla necessità di politiche urbanistiche capaci di ricucire vaste aree di territorio devastato da decenni di urbanizzazione selvaggia. Con interventi di recupero patrimonio edilizio esistente, efficientamento energetico, agricoltura di qualità e consumo locale si può assieme migliorare la qualità ambientale della Piana e creare sviluppo e lavoro di qualità.
Penso a scelte capaci di affrontare il tema dei costi e della disponibilità di energia, sia per le famiglie che per le imprese, puntando con decisione al massimo di produzione locale da fonti rinnovabili, anche con un forte utilizzo di nuove opportunità come quella offerta dalla costituzione delle comunità energetiche.
Penso al tema dei rifiuti e dell’economia circolare. La lucchesia è ai vertici regionali e nazionali per raccolta differenziata soprattutto a livello domestico. Occorre andare ancora avanti, affiancandovi una filiera del recupero per un’economia circolare a km zero e facendo leva sui risultati conseguiti e lavorando anche sul tema dei rifiuti industriali per il massimo recupero e riutilizzo possibile.
Penso al grande tema dell’innovazione e dei servizi alle imprese da sviluppare, oltre che a livello delle singole industrie, anche livello territoriale, valorizzando e sostenendo i poli tecnologici ed i centri servizio esistenti.
Ma anche pensando alla qualità dell’acqua e dell’aria servono scelte nuove a livello di area territoriale. L’acqua è una delle principali risorse del nostro territorio, decisiva per la vita di oltre un milione di persone che abitano anche nelle province vicine, vitale per l’economia di settori industriali fondamentali oltre che per l’agricoltura. Servono scelte ed adeguati investimenti per ridurre l’utilizzo delle acque di falda, aumentare l’utilizzo e la qualità delle acque di riciclo e per trattenere e riutilizzare l’acqua piovana anche in accordo con territori vicini della Valle del Serchio.
È poi noto che la Piana di Lucca ha una qualità dell’aria tra le peggiori a livello regionale e nazionale, frutto anche di una particolare configurazione orografica. Inutile continuare a dividersi sulle percentuali delle responsabilità. Bisogna intervenire a tutti i livelli: delle emissioni domestiche, a quelle industriali, come per quelle legate al trasporto. E servono azioni molto consistenti di rimboschimento urbano programmate nei prossimi anni.
La struttura produttiva manifatturiera della Piana di Lucca ha confermato la sua forza e una efficace capacità di reazione rispetto agli anni della pandemia grazie al mondo del lavoro e ad una rete importante di piccole e medie imprese innovative. Al tempo stesso vediamo bene molti punti di debolezza che generano crescenti diseguaglianze e precarietà. E soprattutto, dobbiamo avere ben presenti e affrontare con decisione e lungimiranza le drammatiche sfide che abbiamo di fronte.
Penso alle pesanti conseguenze della guerra e della crisi geopolitica, agli abnormi aumenti dei prezzi dell’energia e della sua possibile carenza, alla inaccettabile speculazione sui prezzi energetici e delle materie prime, all’inflazione e alle politiche restrittive attuate dalle banche centrali. Sono sfide che esigono nuove politiche nazionali ed europee che continueremo sempre a rivendicare con forza, ma assieme sono necessarie mobilitazione e lotta sindacale e sociale per quello che possiamo fare a livello del nostro territorio. Pretendiamo un salto di qualità nell’attenzione a questi temi da parte delle istituzioni, locali e regionali, e delle categorie economiche, e nella capacità di porre in essere politiche capaci di sostenere l’innovazione e la sostenibilità sociale e ambientale dell’intero sistema produttivo.
La Versilia
In questo quadro generale di crisi che ho prima sottolineato, si colloca la situazione economica e sociale di una parte per molteplici aspetti rilevante della nostra provincia: la Versilia.
La Cgil ha sviluppato in questi ultimi 4 anni, quelli che ci separano dal nostro congresso del 2018 , un importante e meticoloso lavoro di analisi, conoscenza ed iniziativa riguardo alle varie e direi profonde contraddizioni e difficoltà che attanagliano questa zona, sia a causa di annosi ritardi e sottovalutazioni compiute dalla classe politica versiliese, sia per gli effetti della crisi continua che ha colpito tutto il Paese, la nostra regione e la parte costiera in modo particolare.
Abbiamo perciò tentato, spesso raggiungendo buoni risultati, di essere protagonisti attivi e, soprattutto, riconosciuti, di un’azione costante di relazione e confronto con le varie Amministrazioni Comunali, con i Partiti e con organizzazioni e movimenti che hanno in questi anni espresso e continuano ad esprimere volontà di riscatto e di rinascita per tutta la Versilia. Lo abbiamo fatto nel tentativo di costruire, non da soli, ma certamente indirizzando, per quanto lecito e possibile, la discussione e la concreta iniziativa attorno alle tematiche che attengono in modo chiaro e specifico al presente e futuro generale della gente di Versilia, dal lavoro alla sanità, dall’ambiente da tutelare e riqualificare ai pubblici servizi ed alla vita sociale e culturale dell’intera zona.
In quest’ambito voglio ricordare il nostro proficuo e attuale, ma ancora migliorabile rapporto con significative espressioni politiche, sociali e culturali che ci hanno consentito di partecipare ad appuntamenti di carattere più politico a fianco di vari partiti che hanno richiesto il nostro autonomo apporto.
Questa collaborazione ha consentito anche di realizzare nel Giugno del 2019 una nostra specifica, bella e partecipata, iniziativa pubblica su Viareggio e la Versilia, di contribuire alla realizzazione ed alla riuscita di eventi importanti di carattere storico e civile. Come il ricordo di Vasco Zappelli a Seravezza con il nostro Segretario Maurizio Landini; la celebrazione delle Giornate Rosse del 1921; il centenario dell’eccidio di Nieri e Paolini; il ricordo e la rivalutazione della figura di Don Sirio e dell’originale e significativa esperienza dei Preti Operai; di portare la CGIL nelle scuole a confrontarsi con gli studenti, come realizzato nel Novembre 2021 all’Istituto Nautico di Viareggio, sulle tematiche del precariato e dei nuovi “lavoretti”; e ancora la presenza alle tante iniziative diffuse sul territorio per la tutela dell’ambiente, la difesa dei diritti civili e sociali e, soprattutto, per la pace, come l’ultima dello scorso 24 Novembre a Viareggio.
Nel contempo abbiamo ancor meglio e puntualmente adeguato la nostra generale posizione rispetto ai tanti problemi della zona versiliese. Problemi, errori e ritardi che rendono questa realtà una difficile e impegnativa scommessa per tutta la nostra organizzazione. Infatti, come abbiamo anche sottolineato in tutte le iniziative sopra ricordate, come CGIL abbiamo sempre evidenziato con fermezza i caratteri diffusi ed anche contraddittori dell’attuale situazione di crisi che molti settori e comparti della vita economica e sociale versiliese stanno attraversando oramai da troppi anni. Abbiamo definito più volte e pubblicamente questo stato di cose “A due facce”, trovando così una definizione semplice, chiara facilmente comprensibile. Infatti accanto a elementi di indiscussa bellezza naturale, di agiatezza economica (comunque sempre meno diffusa) e di proclamata eccellente qualità della vita si possono facilmente riscontrare contraddizioni sempre più forti ed ingiuste.
Un mercato del lavoro immobile, caratterizzato da lavoro nero e/o grigio, precarietà elevata, che in alcuni comparti assume percentuali intollerabili, lavori a rischio con la salute e la sicurezza dei lavoratori sempre in gioco, scarsa o assente formazione, diritti attaccati e negati, disoccupazione elevata. Tutto ciò mentre invece si racconta di una realtà fatta di eccellenze, di bella vita e di opportunità. Ma dove sono queste opportunità? Quanti giovani, donne e immigrati che vivono in Versilia le possono conoscere e cogliere almeno quelle poche che davvero ci possono essere?
Assistiamo quindi ad una irresponsabile campagna di auto celebrazione che coinvolge alcune importanti Amministrazioni Comunali e settori del mondo imprenditoriale. Noto e significativo il caso dell’albergatore che si lamentava di non trovare personale, per specificare solo in seguito la cifra che avrebbe pensato di erogare a titolo di stipendio. Sopravvivono quindi la nautica, dove peraltro le commesse ci sono, e il turismo, ma a quale prezzo sociale? Con quale logica e quale politica occupazionale e di sviluppo? E, soprattutto, agendo in tal modo ancora per quanto?
La CGIL ha presentato pubblicamente proposte e indicazioni precise, che però non sono state raccolte nella misura dovuta e necessaria. Ma insisteremo, come Confederazione e con le categorie iinteressate, anche in considerazione della prossima apertura della dovuta riflessione attorno al Porto viareggino, al suo futuro ed alle sue caratteristiche occupazionali e produttive.
Del resto poi altri settori un tempo trainanti dell’economia versiliese e che coinvolgono lavoratori di tutti e sette i comuni, vivono anni di profonda crisi. A partire dal Commercio: pensiamo alla situazione particolare e drammatica di Viareggio e di altri comuni costieri con decine di piccoli e medi negozi chiusi, e il contemporaneo proliferare di grandi centri commerciali di ogni tipo e per ogni esigenza. Luoghi dove, peraltro, a volte regnano rapporti di lavoro non propriamente regolari o comunque rispettosi dei diritti e la professionalità dei dipendenti.
Pensiamo anche al Florovivaismo, l’Agricoltura e la pesca, settori nei quali alle annose difficoltà strutturali si è aggiunta la crisi energetica che sta ponendo in serio pericolo l’esistenza stessa di queste attività lavorative.
Un discorso a parte merita la vicenda del Parco Migliarino- San Rossore la cui estensione riguarda i comuni di Massarosa e Viareggio. E’ necessaria una puntuale e seria riconsiderazione complessiva di questa area protetta, è urgente che gli organi preposti forniscano indicazioni pratiche rispetto alla sua importanza e ai criteri di gestione e utilizzo. Fini e prospettive di un ‘area che, a nostro avviso, necessita di un Piano coordinato e realistico di salvaguardia, vivibilità e frequentazione di quelle bellezze naturali che può, se lo si vuole, essere veramente fonte di una nuova e bella occupazione.
Per quanto concerne il settore lapideo, altro comparto storico e tradizionale dell’economia versiliese , dobbiamo registrare una forte contrazione dell’export di circa il 30% con immaginabili conseguenze per tutto il distretto. Inoltre emergono sempre più dirimenti le questioni inerenti la responsabilità ambientale di questo tipo di attività con particolare riferimento alla fase estrattiva della stessa. La CGIL e la FILLEA hanno in questo senso operato perché la tutela ambientale ed il diritto al lavoro non fossero ingiustamente e assurdamente messi in contrapposizione. Questa è una vicenda esemplificativa di quel tornante delicato che riguarda il nostro rapporto con lo sviluppo economico, i suoi canoni produttivi e l’impatto che questi hanno sulla natura e l’ambiente in generale. Una questione seria e delicata che richiede ancora riflessioni e decisioni in grado di garantire un futuro ai lavoratori e la difesa del sistema naturale. Su questo crinale come CGIL intendiamo sviluppare la nostra iniziativa anche nel prossimo futuro.
Questo è sommariamente il quadro nel quale dovremo operare a sostegno dei diritti, per garantire una vita dignitosa e un lavoro tutelato, regolare e ben retribuito.
Oltre a tutto ciò in Versilia emergono però anche problematiche notevoli per quanto riguarda gli anziani. Lo Spi e la CGIL sono da anni impegnate per riuscire a fornire risposte concrete a questi disagi o ingiustizie. Anche in Versilia come nel resto della provincia sono attivi i tavoli di concertazione con le Amministrazioni Comunali. Spesso con i nostri pensionati riusciamo a raggiungere risultati significativi, in altre occasioni si riesce comunque ad aprire un confronto.
Spiace ancora una volta quindi dover rimarcare la totale assenza del comune di Viareggio rispetto a questa importante attività amministrativa di confronto e analisi delle varie criticità presenti sul territorio comunale. Come se a Viareggio tutto andasse sempre bene, ma purtroppo i fatti reali dimostrano sempre di più il contrario.
Così come è urgente richiamare i Comuni della Versilia ad una più responsabile condotta nei confronti delle tematiche della salute e del funzionamento dell’Ospedale Versilia, sul quale continuano a gravare vecchi e nuovi problemi che colpiscono particolarmente la parte più anziana e quella più debole della società ed ai quali va posto il dovuto rimedio. Anche in questo caso la CGIL, la FP e lo Spi hanno operato con costanza nel pieno di gravi criticità per raggiungere il duplice obbiettivo di tutela dei lavoratori e del diritto alla salute e sanità pubblica peri cittadini.
Durante questa variegata attività abbiamo incontrato associazioni, gruppi e cittadini con i quali continuiamo a percorrere la strada della partecipazione e dell’impegno civile. Pensiamo alla Caritas Verslia, ai ragazzi del Presidio di Libera con i quali siamo impegnati a realizzare per il prossimo anno 2 significativi appuntamenti per la legalità e contro le ingiustizie, all’Arci nelle sue diverse articolazioni compresi i giovani di Radio Sankara, all’ANPI e agli amici e compagni dell’Associazione Versilia Futura, con i quali abbiamo collaborato per alcune specifiche iniziative territoriali. Abbiamo conosciuto e discusso le posizioni di vari Comitati a sostegno di battaglie locali e nazionali, insomma abbiamo tentato magari con qualche difficoltà di andare verso il “Sindacato di Strada”, e di aprire le nostre Camere del Lavoro, i primis quella di Viareggio.
Il lavoro da fare è ancora tanto e impegnativo, ma l’esperienza, i contatti e la considerazione diffusa da parte di tanta società versiliese nei nostri confronti sono fattori decisivi per continuare, anche in Versilia, su questa strada, affinando la nostra conoscenza e la nostra analisi per produrre fatti concreti e importanti per la vita quotidiana di tanti cittadini della Versilia.
Mediavalle e Garfagnana
Come abbiamo detto, il covid dovrebbe aver insegnato che non può tornare tutto come prima, ed almeno noi, che abbiamo l’ambizione di poter migliorare il mondo, dovremmo impegnarci a farlo.
La Valle del Serchio è un territorio bellissimo con potenzialità da sviluppare, che comprende 20 comuni per una popolazione di circa 45.000 abitanti, in cui ci sono interventi essenziali da eseguire, e da eseguire velocemente, sfruttando adeguatamente anche le risorse che potrebbero arrivare dal PNRR. Come tutte le aree interne è un territorio caratterizzato dalla significativa mancanza, o dalla distanza in termini di tempi di percorrenza, dai servizi essenziali (salute, istruzione, mobilità, connettività).
Se facciamo una fotografia di tutta la Valle, possiamo vedere una popolazione molto anziana, pochi stranieri, una tendenza demografica negativa, caratterizzata da particolari problematiche come la significativa emigrazione della popolazione, il pendolarismo e soprattutto il tasso di disoccupazione sia giovanile sia femminile tra i più alti della provincia. L’agricoltura è poco sviluppata, mentre sono presenti in grande quantità boschi ed aree protette. C’è però un alto rischio idrogeologico e sismico. Nonostante il contesto non le agevoli, molte industrie grandi e piccole costituiscono ancora oggi un importante bacino occupazionale, ma esiste il rischio concreto di un crescente disimpegno delle aziende se non verranno effettuati gli interventi necessari.
Le maggiori criticità rilevate sono nei servizi pubblici, in particolare socio-sanitari e nelle infrastrutture. Riguardo ad essi purtroppo negli anni abbiamo assistito ad un costante disimpegno sul territorio: vedi poste e uffici pubblici. La politica di costante riduzione e peggioramento dei servizi di trasporto ha portato inoltre gravissimi disagi all’ingente numero di studenti e lavoratori che ogni mattina devono raggiungere la piana di Lucca. L’attenzione e gli eventuali interventi dovrebbero vertere sulla viabilità, che da decenni è un punto dolente e presenta tutt’ora forti criticità. Questo è legato anche alla fragilità idrogeologica di questo territorio, purtroppo mai affrontata in maniera sinergica e preventiva, ma che ci ha solitamente visto muovere solo al momento dell’emergenza, quindi senza una vera pianificazione e interventi strutturati nel tempo. Mentre questi interventi creerebbero occupazione e sicurezza per i cittadini.
Dopo un importante impulso, definito in particolare dalla Provincia di Lucca dalla metà degli anni novanta in poi, con il miglioramento della fondovalle, la realizzazione dei ponti sul Serchio, della variante di Castelnuovo e di Piazza al Serchio, oggi siamo di fronte alla necessità urgente di costruire le altre opere per anni pubblicizzate, quali uno sbocco verso nord più rapido sicuro e il miglioramento della fondovalle con la realizzazione di un collegamento più scorrevole da Ponte a Moriano verso gli assi autostradali, sempre però nell’ambito delle riflessioni fatte prima per la piana.
Infatti la vera scommessa è la rete ferroviaria e la sua potenzialità. Occorre investirvi e farla diventare l’asse portante delle vie di comunicazione. Per questo è necessario che diventi percorribile con treni adeguati, (i nuovi treni Swing comprati dalla Regione sono a diesel e hanno difficoltà con le pendenze; sono pochi e molto spesso soppressi all’ultimo momento). È quindi necessario agire su due direzioni: elettrificare la linea e aumentare le stazioni di scambio, che devono diventare dei veri centri di promozione turistica ed economica.
Bisogna costruire finalmente un sistema di trasporto pubblico integrato tra gomma e rotaia in grado di supportare anche le esigenze turistiche locali. È rilevante notare che per un turista è praticamente impossibile spostarsi in Garfagnana utilizzando i mezzi pubblici. Inoltre, con i lavori fatti nei mesi passati da RFI la linea è di nuovo in grado di sostenere il trasporto merci delle aziende della Valle, come valida alternativa al trasporto su gomma.
Occorre però anche un’altra grande autostrada, ed è quella informatica. Se vogliamo studiare o lavorare da remoto in Garfagnana dobbiamo essere in condizione di poterlo fare, e attualmente ci sono molti paesi e Comuni che hanno scarse coperture internet. Non è tollerabile! Se vogliamo tenere la gente nei nostri comuni montani, dobbiamo dare loro i servizi che ci sono nelle città. Oggi si può fare con le tecnologie che esistono, ma è necessario investirvi.
Purtroppo, mancano visione collettiva e determinazione dei nostri amministratori. Queste problematiche rendono necessario un progetto che guardi alla necessità di un rilancio economico e sociale della Valle, e richiedono un’attenzione particolare e risorse da spendere. In realtà si tratta di investimenti in parte anche previsti nel PNRR, che evitano i costi sociali conseguenti al non intervento, dal dissesto idrogeologico al degrado culturale e paesaggistico fino allo spopolamento del territorio.
Un fattore importante che determina la vivibilità di un territorio è sicuramente l’adeguatezza dei servizi socio/sanitari, viceversa la loro inadeguatezza causa forse la maggiore criticità. Come abbiamo detto occorre capire che oltre l’importanza dei grandi centri ospedalieri per acuzie è altrettanto importante una adeguata copertura su tutto il territorio dei servizi sociosanitari. Dobbiamo analizzare con somma cura le proposte presenti nell’asse 6 del PNRR, che contiene direttive interessanti da declinare sul territorio in maniera sartoriale, un treno che non possiamo perdere. C’è la necessità che nelle attività territoriali si realizzi una reale presa in carico del paziente, che vorrebbe dire dargli un riferimento stabile riguardo alla propria salute, aspetto irrinunciabile per avere la sua adesione alla cura nel tempo. Abbiamo una carenza di medici specialisti, personale tecnico sanitario e infermieri negli ospedali e nei servizi della Valle, che assume sempre di più un carattere di emergenza.
Come CGIL lanciamo alcune proposte che auspichiamo contribuiscano a produrre risposte concrete e veloci, sfruttando le risorse del PNRR ma anche necessari investimenti strutturali. Dobbiamo avere il coraggio di riprendere in mano la proposta di un ospedale unico per la Valle del Serchio, che non sia la mera riproposizione del vecchio disegno non adeguatamente portato avanti, ma una struttura moderna, che risponda ai requisiti e parametri previsti dalle attuali normative che ne garantiscono la sicurezza e l’efficienza. Un ospedale unico, baricentrico sul territorio, integrato con una rete di Case della salute o comunità come previsto dal PNRR e da tanta normativa regionale. Un ospedale come questo garantirebbe la presenza di un reale Pronto Soccorso che darebbe sicurezza nelle situazioni di urgenza della popolazione. Vista la conformità della zona, bisogna considerare anche l’esigenza di punti di Primo Soccorso dislocati sul territorio. Occorre inoltre garantire la necessaria dotazione di personale di tutti i profili, assicurandone l’equo inquadramento contrattuale. In aggiunta, coinvolgendo la Regione Toscana nell’ambito delle politiche sulle aree interne, sono da valutare particolari incentivi per chi opera su questi territori, di tipo economico e anche professionale.
In considerazione delle caratteristiche del territorio si ritiene ancora più importante sviluppare la digitalizzazione e la telemedicina, favorire ed estendere progetti come “A casa in buona compagnia”, che fa riemergere la necessità di una buona connessione ad Internet.
Una attenzione particolare deve riguardare gli investimenti per la messa in sicurezza di questo territorio, particolarmente difficile, fragile e ad alto rischio, ma allo stesso tempo bellissimo e potenziale motore di sviluppo per un turismo che ne può concretamente supportare il rilancio, attraverso nuova occupazione e conseguente ripopolamento. Anche per questo bisogna fare moltissima attenzione a qualsiasi intervento sul territorio che ne possa pregiudicare lo sviluppo.
A chi esita
Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.
E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.
Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?
O contare sulla buona sorte?
Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.
B.B.