27 Dic Costituita la sezione ANPI della Funzione Pubblica CGIL.
A Palazzo Massimo il congresso costitutivo. Serena Sorrentino, segretaria generale Funzione Pubblica Cgil: “Essere partigiani vuol dire prendere parte, fare parte”
Si è tenuto oggi a Roma, presso Palazzo Massimo, il Congresso costitutivo della sezione Anpi della Fp Cgil. Dopo un inizio emozionante – con la proiezione di uno spezzone del film Roma Città aperta, le note di Bella ciao, i ricordi di Mario Di Maio, antifascista e partigiano, testimone diretto del bombardamento del quartiere San Lorenzo di Roma del 19 maggio 1943 ed i saluti istituzionali anche della Sezione Anpi Adele Bei della Cgil nazionale – la fase congressuale vera e propria è entrata nel vivo con la nomina delle Commissioni elettorale e politica, l’introduzione e la votazione del documento congressuale.
“Essere partigiani – ha affermato la segretaria generale della Fp, Serena Sorrentino – vuol dire prendere parte, fare parte. Far parte di un movimento che rifiuta il fascismo e il razzismo, che si richiama alla democrazia, alla libertà. La Funzione pubblica è, e diviene sempre di più, Funzione partigiana, con il compito di rendere la Resistenza qualcosa di vivo. Non è solo necessario difendere la Costituzione ed i suoi valori, è oggi sempre più necessario farla e farli vivere, ogni giorno”.
A partire dall’art. 1 della nostra carta fondamentale, più volte nel corso dei lavori richiamato, che ci ricorda che L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. “È il lavoro che ha salvato il nostro Paese”, ha quindi affermato Carlo Ghezzi, vice presidente nazionale vicario dell’Anpi, ricordando il ruolo fondamentale del mondo del lavoro nella Resistenza.
Tra il 5 e il 17 marzo 1943, le fabbriche torinesi sono bloccate da una protesta che coinvolge 100.000 operai. Dietro alle rivendicazioni economiche, le agitazioni hanno un chiaro intento politico e cioè la fine della guerra e il crollo del fascismo. Un’ondata che da Torino si estende alle principali fabbriche del Nord Italia.
Con gli scioperi del marzo 1943, succede qualcosa di nuovo in Italia. In pochi giorni, dopo il via dato da Torino, nel triangolo industriale trecentomila operai cominciano la lotta e questa assume un significato politico enorme e immediato, anche se, fabbrica per fabbrica, vengono avanzate dagli operai solo delle rivendicazioni salariali precise e limitate.
“Gli scioperi del marzo ’43 – riportava nel 1975 un dossier a cura di Aldo De Jaco – (fra l’altro conclusi non solo con un grande successo politico ma anche con esito positivo dal punto di vista economico) hanno un grande rilievo nella storia dell’unità dei lavoratori. Essi ne esprimono infatti la resurrezione come massa dopo più di venti anni di feroce oppressione di classe e pongono le basi di una unità nuova delle grandi correnti sindacali storiche che già avevano guidato i lavoratori fino alla dittatura e poi anche nella clandestinità. Questa unità sarà poi sancita dal Patto di Roma dell’anno dopo, che darà vita alla Cgil unitaria”.
La Resistenza la iniziano i lavoratori. E loro la concludono, occupando le fabbriche due anni dopo alla vigilia del 25 aprile 1945. Insorgendo, scioperando, nuovamente nel marzo del 1944. Il 1° marzo 1944 tanti, tantissimi lavoratori (secondo il ministero degli Interni 210.000, di cui 32.000 solo a Torino; secondo Leo Valiani, d’accordo anche Paolo Spriano, perlomeno 500.000 operai e impiegati) incrociano le braccia malgrado la repressione, la minaccia di licenziamento, la paventata deportazione in Germania.
Agli scioperi aderiscono centinaia di migliaia di operai, impiegati, tecnici e perfino dirigenti di ogni categoria produttiva e servizio pubblico: tranvieri, ferrovieri, postelegrafonici, dipendenti statali e municipali, bancari e assicuratori, studenti di molte scuole superiori ad alcune università. “Ed il rapporto tra le forze del Lavoro e le forze della Resistenza – ha ricordato ancora Carlo Ghezzi – non si conclude nel 1945”. Ritorna, fortemente nel 1960, l’anno dei moti di piazza anti-Tambroni a Genova e a Roma, l’anno dei morti di Reggio Emilia.
“Il fascismo per i lavoratori italiani oggi – diceva allora Vittorio Foa – non è solo l’eco remota e nostalgica delle squadracce e delle aquile e degli orpelli barbarici dell’età mussoliniana, ma è, nelle condizioni mutate, l’arbitrio in luogo della giustizia, la disciplina subordinata in luogo della parità dei diritti e doveri reciproci fra lavoratore e padrone, la corruzione e l’avvilimento, la mancanza di prospettiva, il contrasto tra i profitti giganteschi e i salari stagnanti, lo sfruttamento intensivo della forza lavoro che impedisce all’uomo, finito il lavoro, di avere forze bastevoli per partecipare alla vita nelle sue forme più alte”.
Parole di una attualità disarmante che spiegano il senso del nostro essere, oggi, Funzione partigiana. Fare parte, essere parte, riprendendo le parole di Serena Sorrentino, di una memoria viva che si traduce in impegno, un impegno concreto e fattivo rappresentato anche dalla volontà di aprire una sezione Anpi nel carcere di Rebibbia.